03/11/2024 – Sulla cybersicurezza il governo rischia lo scivolone, altro che il tandem Sangiuliano-Giuli. Per questo alla fine è prevalsa la cautela sul decreto che prometteva il riordino delle competenze di settore. Il provvedimento era stato inserito nell’ordine del giorno dell’ultimo Consiglio dei ministri e poi fatto sparire dal calendario con una decisione repentina e misteriosa: l’assenza del ministro della Giustizia Carlo Nordio come pretesto quando sullo sfondo si allunga l’ombra delle profonde divergenze che hanno mandato in fibrillazione Palazzo Chigi.
Del resto c’è chi ricorda come la competenza sulla cybersicurezza, che ha come sottotesto la riorganizzazione dei servizi di intelligence, è da “chi tocca i fili muore”. Lo sa bene Giuseppe Conte: nel 2020 venne costretto a ritirare un emendamento alla manovra con cui intendeva creare la Fondazione degli 007, una sorta di terza gamba dei servizi da affidare alle cure del direttore del Dipartimento informazioni e sicurezza (Dis) Gennaro Vecchione, legato a doppio filo al leader del M5S. Uno stralcio necessario dopo la rivolta del Copasir allora guidato da Raffaele Volpi della Lega, ma anche del Pd e di Italia Viva, che avevano dato l’altolà all’allora presidente del Consiglio sospettato di lavorare per accentrare sulla sua persona oltre che prerogative sugli apparati di sicurezza (aveva tenuto per sé la delega ai Servizi) anche la competenza esclusiva sulla centrale cibernetica. Con questo sottraendo un bel pezzo di potere alle centrali operative di Aise (servizio esterno) e Aisi (servizio interno).
Il blitz di Conte sull’istituzione, all’interno del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, del Servizio di informazione per la sicurezza nel dominio cibernetico con funzioni di cyber intelligence a diretto riporto del premier e di Vecchione non era affatto piaciuto al ministro della Difesa Lorenzo Guerini (che oggi presiede il Copasir). I rumors che Aise e Aisi si ritenessero scavalcati dal Dis con questa operazione aveva dato la stura a polemiche tali da arrivare a mettere in forse la stessa approvazione della manovra da parte dei dem: lo stralcio dell’emendamento era servito ad agevolare il rinnovo di Vecchione, ma era stato il primo segnale del logoramento di Conte a Palazzo Chigi prima della caduta: uno dei primi atti del subentrante governo dei Migliori di Mario Draghi era stato la sostituzione di Vecchione avvicendato al Dis da Elisabetta Belloni.
Questo mentre a Palazzo Chigi il sottosegretario alla Presidenza Franco Gabrielli era riuscito infine a ritrovare gli equilibri perduti: via libera all’istituzione dell’Agenzia nazionale per la cybersicurezza ma lasciando l’assetto dell’intelligence come delineato dalla legge 124/2007. Un sistema che oggi più che mai mostra i suoi limiti. Come dimostrano i dossieraggi e le polemiche che hanno investito tanto l’attuale direttore dell’Agenzia Bruno Frattasi, quanto il sottosegretario con delega ai servizi del governo Meloni Alfredo Mantovano.
Presi a pallettate in special modo da Matteo Renzi, un altro a cui la gestione della cybersicurezza era andata di traverso: nel suo caso – era il 2016 – la nomina di Marco Carrai come suo superconsulente ai big data era diventato un caso politico per l’intenzione attribuita al presidente del Consiglio di affidare in realtà al fedelissimo (nonché imprenditore del settore) la gestione di una nuova unità di missione del governo sulla cybersecurity. Non se ne era fatto niente dopo che dal Capo dello Stato Mattarella era giunto il suggerimento a soprassedere per ragioni, diciamo così, estetiche: tenere separate le nomine dei Servizi e quella di Carrai. Ma questa è un’altra storia. – [Di Marco Franchi – ilfattoquotidiano.it]
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