Assicurazioni contro le calamità naturali, perché il ministro sbaglia

25/09/2024 – Il Governo Meloni nella legge di bilancio 2024 (L.213 art. 1 comma 101) ha introdotto l’obbligo per le imprese italiane ed estere aventi stabile organizzazione in Italia di stipulare entro il 31 dicembre 2024 una polizza contro i rischi catastrofali che compra fabbricati, impianti, macchinari e attrezzature. Il decreto attuativo, colpevolmente dimenticato come da consolidata prassi, è in discussione in questi giorni con gli attori coinvolti. Tanto Urso, ministro delle imprese e del made in Italy, quanto Musumeci, ministro della protezione civile, hanno ribadito il conseguimento di questo importante risultato ma non hanno fatto i conti con le criticità che l’industria assicurativa e i cittadini devono affrontare.

L’obbligo, anche in virtù di alcune esternazioni poco avvedute dei due ministri appare sbagliato nei tempi e nei modi. Musumeci, nel 2023, in occasione dell’alluvione che colpì Marche ed Emilia Romagna si lamentò delle regioni che consideravano il governo un bancomat; qualche giorno fa, di fronte alle perplessità emerse sull’obbligo di assicurare anche le costruzioni residenziali, ha dichiarato che l’obbligo insisterà solo per le zone a più alto rischio, contravvenendo ad un principio basilare del funzionamento dell’industria delle assicurazioni: la mutualità.

Soprattutto l’idea di un obbligo assicurativo appare come uno scaricare sul settore privato le mancanze e le responsabilità del settore pubblico in materia non soltanto di indennizzo per i danni subiti ma anche, ed è la parte più grave, per ritardi ed omissioni nella messa in sicurezza del territorio. In altre parole questo arretramento del settore pubblico sarebbe un pesante incentivo all’azzardo morale.
Nello schema in discussione l’unico attore pubblico resterebbe SACE S.p.A. controllata integralmente da Cassa Depositi e Prestiti cui spetterebbe il ruolo di riassicuratore di ultima istanza fino ad un massimo di 5 miliardi di euro.

I numeri del mercato assicurativo
Si diceva che il mercato assicurativo italiano è sottodimensionato. Nel 2023 la raccolta premi nel ramo danni è stata di circa 38 miliardi di euro; Dai 38 miliardi di premi vanno poi scorporate le riserve che incidono per circa 1,5 miliardi. Di questi, il ramo incendi, sotto il quale vanno i NAT-CAT, vale l’8,4%, quindi poco meno di 3,2 miliardi (fonte ANIA 2024).
Le stime di danni da eventi catastrofali, secondo uno studio del SIMA che prende in considerazione il periodo 1944-2020, sono di 4,5 miliardi l’anno in valori reali. Un valore dunque già superiore non soltanto alle riserve tecniche ma anche al montante premi.

Il premio assicurativo (il prezzo per il rischio) incorpora una serie di elementi che costituiscono l’ossatura dell’industria delle polizze.
Prima di tutto incorpora gli oneri di gestione: acquisizione dei contratti, funzionamento e pagamento della rete distributiva, spese amministrative e di struttura, costi di riassicurazione, gestione dei sinistri ecc. Nei rischi standard i costi industriali sono marginali decrescenti; in quelli NAT-CAT crescenti.
Il risultato del conto tecnico complessivo, detratti dunque tutti i costi industriali, si attesta su una media di 2 miliardi. Sommando Loss Ratio (incidenza dei danni pagati e a riserva) ed Expense Ratio abbiamo un rapporto su premi medio intorno al 90%. Questo rapporto è stato nel 2023 del 104%, dunque il ramo è stato in saldo tecnico negativo.

La formazione del premio
Il premio assicurativo deve incorporare oltre gli oneri già visti anche stime elaborate con criteri statistici su probabilità, frequenza e magnitudine dei sinistri.

Se quello della probabilità è un criterio autoevidente, quello su frequenza e magnitudine non è meno importante. Per un assicuratore la frequenza dei sinistri rappresenta un onere aggiuntivo perché la gestione amministrativa di un gran numero di sinistri di piccolo importo non è meno onerosa della gestione di un unico vento di importo rilevante.
Nel caso dei NAT-CAT è ipotizzabile avere una elevata frequenza (un gran numero di beni danneggiati) da un singolo evento con severa magnitudine. Prendiamo ad esempio gli eventi del maggio 2023 nel centro Italia i cui danni sono stati stimati in 10 miliardi: c’è stata una molteplicità di beni danneggiati con singolo danno di importo elevato. Si comprende bene dunque la freddezza dell’associazione delle imprese assicurative di fronte all’obbligo a contrarre annunciato dal governo, a prescindere dagli statement di facciata.

C’è poi il problema della pericolosità intrinseca del territorio italiano, esposto per il 90% della sua estensione a rischi sismici ed idrogeologici. – [Approndisci su FONTE]

Commenta per primo

Lascia un commento