29/10/2024 – A partire dal 2020 in Italia si sono succeduti interventi normativi che hanno modificato le soglie di valore contrattuale sotto le quali è possibile per la stazione appaltante procedere con l’affidamento diretto per contratti di lavori, servizi e forniture. In particolare, il primo intervento sull’innalzamento di tali soglie si è avuto con la legge 120/2020. Le soglie per l’affidamento diretto, fissate a 40.000 prima di tale legge, sono state innalzate a 75.000 euro per gli appalti aventi ad oggetto servizi e forniture e a 150.000 euro per gli appalti di lavori. Il decreto legge n. 77/2021 ha poi ulteriormente innalzato le soglie per gli appalti di servizi e forniture a 139.000 euro.
Questo ha comportato più affidamenti diretti e meno gare con ribassi.
Anac ha provato a calcolare l’effetto in termini economici. Innanzitutto ha confrontato l’andamento dei ribassi medi tra il 2017 e il 2020, con le vecchie soglie, e quelli del 2021-2023. Il risultato è un calo medio dal 9 al 7%, trainato dal tonfo registrato dai ribassi per gli appalti di lavori (servizi e forniture sono rimasti sostanzialmente stabili). Risultato: un mancato risparmio tra i 352 e i 370 milioni a seconda che si usi la media aritmetica o ponderata per gli importi in appalto. L’ipotesi dei tecnici dell’Autorità Anticorruzione è che alla base del minor risparmio per la P.A. ci sia l’assenza di concorrenza che si ha negli affidamenti diretti. Per provare a isolare ancora di più l’effetto delle modifiche normative da altre cause, hanno provato allora ad analizzare il cambiamento nelle modalità di scelta del contraente adottate dalle stazioni appaltanti. Si vede che nel 2021-2023 la quota di affidamenti diretti è più che raddoppiata, arrivando al 77% per i lavori e al 71% per i servizi. Il risultato cambia di poco: un mancato risparmio di circa 350 milioni. “È ragionevole ipotizzare che un più diffuso utilizzo dell’affidamento diretto abbia un impatto sui costi di approvvigionamento”, scrivono gli esperti dell’Authority, che ritengono i risultati una base di partenza, parziale, da affinare con analisi più complesse e più dati.
A inizio 2023, mentre si discuteva il nuovo Codice appalti, il presidente dell’Anac Giuseppe Busia aveva auspicato inutilmente un ritorno alle vecchie soglie. “Così si riduce la trasparenza e aumentano le situazioni di illegalità – aveva spiegato il giurista, nominato dal governo Conte – Il rischio è di rivolgersi alle imprese che si conoscono e non alle migliori facendo lievitare i prezzi senza risparmiare tempo”, peraltro aumentando le zone opache e di illegalità. Per tutta risposta la Lega gli aveva chiesto di dimettersi. Il nuovo Codice ha perfino elevato a 500 mila euro la soglia sotto la quale le stazioni non qualificate (cioè i piccoli comuni) continueranno a gestire appalti senza doversi rivolgere a enti con le competenze necessarie.
Il risultato si è visto subito. Secondo Anac, nei Comuni sopra i 15 mila abitanti l’85% degli appalti nel 2023 non è passata da procedure aperte. Alla fine di quell’anno i dati mostravano che l’83% degli appalti del Pnrr (e del piano complementare) era stato assegnato a imprese di fiducia, senza neppure il bisogno di confrontare due o più preventivi. – [FONTE]
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