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Operazione Piazza pulita. Sequestrati beni per un valore di oltre 29 milioni di euro

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13/11/2020 – Al termine di complesse indagini per reati tributari, nel corso dell’operazione “PIAZZA PULITA”, militari della Guardia di Finanza di Torino hanno dato esecuzione al provvedimento di sequestro preventivo di denaro e beni per oltre 29 milioni di euro emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Ivrea nei confronti degli ex rappresentanti legali della M. s.p.a., società eporediese leader nella fornitura di servizi di facility management e consulenza gestionale.

Tra le ipotesi contestate anche il mancato pagamento ai lavoratori del “bonus di 80 euro”, noto anche come “bonus Renzi”.

Leggi anche: Percepiva indebitamente il contributo a fondo perduto per le imprese in difficoltà – Denunciato imprenditore

Le attività, coordinate dal Procuratore della Repubblica di Ivrea, Dott. Giuseppe Ferrando, dirette dal Sostituto Procuratore, Dott. Alessandro Gallo, e condotte dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Torino, conseguono alla denuncia degli ex rappresentanti legali della citata società per i reati tributari di omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000) e indebita compensazione (art. 10-quater D.Lgs. 74/2000), dal 2016 al 2019, per un ammontare complessivo superiore a 29 milioni di euro.

Numerose le fattispecie ipotizzate a carico degli indagati, ritenute connotate da serialità e persistenza, che hanno portato all’emissione del provvedimento giudiziario.

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Da un lato, sarebbero stati omessi per oltre 25 milioni di euro i versamenti dovuti al Fisco per le ritenute d’imposta operate dall’impresa sugli stipendi dei dipendenti e sui compensi dei professionisti, che il datore di lavoro effettua per conto del lavoratore.

Dall’altro, per abbattere le somme dovute dall’impresa all’Erario, sarebbero anche stati utilizzati crediti d’imposta non spettanti o inesistenti, per oltre 4 milioni di euro. In sintesi, il meccanismo del credito d’imposta consente ad un’azienda di compensare i debiti fiscali con i crediti che lo Stato riconosce per talune tipologie di investimenti, spese o erogazioni.

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In questo caso, le compensazioni sarebbero state effettuate facendo figurare crediti per attività di ricerca e sviluppo nel 2018 e 2019, senza dimostrarne con evidenze documentali l’avvenuta esecuzione, per quasi 3,5 milioni di euro.

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Analogamente, sarebbero state effettuate compensazioni d’imposta per oltre 650 mila euro per l’inesistente erogazione degli 80 euro mensili del cosiddetto “Bonus Renzi” nella busta paga dei dipendenti, in mancanza dei relativi pagamenti. In tal modo, la società avrebbe illecitamente “recuperato” le citate integrazioni stipendiali senza che tali somme fossero effettivamente giunte nelle tasche dei lavoratori.

Leggi anche: 91 residenti nel comune di Africo (RC) percepivano indebitamente il Bonus spesa covid-19

A seguito della quantificazione degli importi complessivamente sottratti al Fisco, i militari del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Torino hanno avviato estese indagini finanziarie e patrimoniali finalizzate all’individuazione delle ricchezze illecitamente accumulate evadendo i tributi.

Nello specifico, la fase esecutiva della misura cautelare, particolarmente articolata nella ricerca e individuazione delle sostanze indebitamente sottratte alla collettività, ha consentito di sottoporre a sequestro le somme di denaro depositate in una cinquantina di conti correnti e rapporti finanziari presso numerosi intermediari, anche all’estero. Grazie all’attivazione, tramite il Comando Generale, II Reparto, dei canali di cooperazione internazionale, i finanzieri hanno infatti individuato e bloccato le disponibilità di un indagato su un conto corrente acceso presso un istituto di credito in Francia.

Leggi anche: Arrestato un misilmerese e sequestri un patrimonio illecito del valore di oltre 500 mila euro

Sequestrati anche 7 immobili nelle province di Torino, Napoli e Latina, quote di 3 società con sede nelle province di Torino e Roma e 5 motociclette supersportive di valore.

Le attività in rassegna si collocano nell’ambito dell’azione quotidianamente svolta dalla Guardia di Finanza per la ricerca e repressione degli illeciti di natura economicofinanziaria, che producono effetti negativi sull’economia e ostacolano la libera concorrenza tra le imprese.

Un impegno che rappresenta un importante elemento di garanzia per le aziende del nostro Paese che operano nel rispetto delle regole, versando le giuste imposte all’Erario e producendo sana occupazione.
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Riciclaggio di beni della mafia: sequestrati dalle Fiamme Gialle una trentina tra vigneti e fabbricati

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20/03/2020 -In data odierna militari del Nucleo di Polizia Economica e Finanziaria della Guardia di Finanza di Trento hanno dato esecuzione ad un sequestro preventivo, emesso dal GIP presso il Tribunale di Trento su richiesta della locale Procura Distrettuale – D.D.A., in stretto coordinamento con la Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, ad esito di indagini in materia di infiltrazione della criminalità organizzata di stampo mafioso nell’economia trentina.

L’odierno provvedimento di sequestro è stato eseguito su terreni e fabbricati di due tenute siciliane di proprietà di uno dei più importanti gruppi nazionali operanti a livello internazionale nel settore vitivinicolo. Si tratta di un complesso aziendale, del valore di oltre 70 milioni di euro, che si estende nelle province di Agrigento e Ragusa con oltre 900 ettari di vigneti e numerosi fabbricati.

Contestualmente sono in corso numerose perquisizioni presso i domicili di quattro indagati, ritenuti responsabili, in concorso, del reato di riciclaggio aggravato dall’aver agevolato l’organizzazione criminale cosa nostra, nonché presso gli altri luoghi nella loro disponibilità.

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Le indagini, sviluppatesi attraverso ricostruzioni societarie, esame documentale, accertamenti bancari, acquisizioni informative svolte con il supporto di alcuni ufficiali di p.g. dell’aliquota della Polizia di Stato della Procura della Repubblica di Trento, e acquisizioni testimoniali anche da numerosi collaboratori di giustizia, hanno permesso di appurare che tra il 2000 e il 2005 è stata posta in essere una operazione commerciale, attraverso la quale sono state acquisite le due tenute siciliane dalla precedente proprietà mafiosa per ottenere i terreni e gli edifici pertinenziali precedentemente individuati come funzionali ai progetti di sviluppo del Gruppo trentino.

Il quadro indiziario raccolto dagli investigatori del Gruppo di Investigazione sulla Criminalità Organizzata (G.I.C.O.) di Trento ha permesso di:

– delineare gravi indizi di responsabilità anche a carico di soggetti del gruppo societario trentino che, con due operazioni contrattuali collegate tra loro, hanno acquisito beni immobili in Sicilia, inizialmente di proprietà dei noti cugini S. (I. e A. detto “N.”, uomini d’onore della famiglia di Salemi (TP) del mandamento di Mazara del Vallo), pervenuti ai venditori attraverso il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso commesso dai propri danti causa. Dopo la morte dei due cugini S. la gestione formale dei beni è stata affidata a prestanome mentre quella reale, su “delega” di cosa nostra, ad un uomo d’onore palermitano e all’allora capo mandamento di Sambuca di Sicilia, previa autorizzazione di un noto boss latitante;

– appurare che le cessioni delle due tenute al Gruppo trentino si sono perfezionate grazie all’operato congiunto di un commercialista e di un imprenditore, entrambi siciliani, quest’ultimo fornitore nonché socio di minoranza del Gruppo trentino;

– dimostrare che per la componente mafiosa lo scopo del reato di riciclaggio è stato quello di liberarsi di beni immobili ricevuti e/o gestiti attraverso attività criminali per sottrarli a misure cautelari reali e/o per investire il ricavato, così ripulito, in ulteriori imprese delittuose. Di fatto, tenuto conto che la provenienza mafiosa dei beni sarebbe stata sempre identificabile e ricostruibile anche a distanza di molti anni, la loro trasformazione in denaro contante ha consentito a cosa nostra di anonimizzarne l’origine. Secondo un noto collaboratore di giustizia trattasi di “un classico di messa a posto” utile a garantire posti di lavoro, nonché denaro per i professionisti e le aziende contigue alla mafia.

Le odierne indagini confermano l’impegno della Procura della Repubblica e della Guardia di Finanza di Trento a tutela degli imprenditori trentini virtuosi che operano nello settore rispettando le regole della libera concorrenza. – [GdF.Gov.it]
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Sequestro di oltre 21 milioni di euro tra cui conti correnti, fondi d’investimento, partecipazioni societarie, veicoli di lusso e beni immobili

06/03/2020 – I Finanzieri del Comando Provinciale di Viterbo, in esecuzione di provvedimento del Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Roma, hanno sottoposto a sequestro preventivo beni collocati in ambito nazionale ed estero.

Il sequestro ha riguardato da un lato quote di società, con finalità impeditiva, dall’altro denaro, fondi d’investimento, partecipazioni societarie, veicoli e motoveicoli di lusso, nonché beni immobili fino ad una concorrenza di oltre € 21.000.000, al fine di confisca diretta e per equivalente.

Il provvedimento, eseguito nei confronti di n. 8 soggetti tra amministratori di fatto e prestanome di società operanti nel settore della distribuzione al dettaglio, pulizie di edifici, trasporti e facchinaggio, consegue alle ipotesi di reato di concorso in frode fiscale, indebite compensazioni e riciclaggio.

Tra i beni sottoposti a vincolo ha particolare risalto un fondo d’investimento estero di circa due milioni e mezzo di euro.

La complessa attività investigativa è conseguente ad un intervento operativo eseguito, nel mese di giugno del 2017, dalla Compagnia di Viterbo presso i locali di un supermercato di generi alimentari operante nella provincia viterbese, risultato gestito di fatto da un imprenditore romano.

Le immediate ricerche, estese dai militari nel locale/ufficio dell’amministratore di fatto della società gestore della medesima attività commerciale, permettevano di rinvenire copiosa documentazione amministrativa, contabile ed extracontabile, nonché numerosi timbri ad inchiostro riconducibili a diverse società, tutte con sede dichiarata a Roma ma in realtà, come si è scoperto nel corso delle indagini, impiegate esclusivamente per l’emissione e l’utilizzo di fatture false.

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Le successive attività investigative, condotte dai Finanzieri del Comando Provinciale di Viterbo sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Roma, hanno infatti permesso di accertare una truffa sistematica commessa nei confronti dell’Erario e degli Istituti Previdenziali, perpetrata dai titolari di uno studio commercialistico di Roma attraverso un gruppo di società che hanno presentato dichiarazioni fraudolente,indicando costi fittizi per € 18 milioni al fine di ottenere un credito IVA, quantificato in € 3 milioni e mezzo, risultato essere inesistente ed utilizzato successivamente per compensare il versamento di ritenute fiscali e di contributi previdenziali, che invece sarebbero stati tenuti ad effettuare.

L’attività di polizia giudiziaria eseguita ha permesso di accertare che tali società sono state costituite da uno dei titolari dello studio commercialistico, considerato l’amministratore di fatto, e che le quote societarie, come pure le cariche di amministratore, sono state intestate e attribuite a soggetti terzi compiacenti, dietro il pagamento di un compenso periodico.

Altre società, per gran parte amministrate da soggetti “prestanome”, riportavano costi fittizi, consistenti nell’acquisto di beni immateriali (in realtà mai acquisiti), per oltre € 40 milioni e crediti IVA inesistenti per quasi € 10 milioni, che venivano poi impiegati sempre per compensare le ritenute fiscali ed i contributi previdenziali che avrebbero dovuto versare.

La frode aveva anche importanti conseguenze sui lavoratori delle società che si avvalevano della collaborazione illecita dello studio commerciale: è stato infatti accertato che quando una delle società di cui erano dipendenti aveva “esaurito” il credito IVA fittizio, i lavoratori venivano licenziati, per poi essere assunti da nuove società, appositamente costituite, che avevano appena creato il credito d’imposta secondo il medesimo sistema di frode sopra descritto. Il legame lavorativo, quindi, non seguiva il merito, le capacità o l’impegno, ma le alterne esigenze delle dinamiche della frode fiscale.

Tutte le partecipazioni delle società coinvolte, quantificate in circa 60, sono state sottoposte a sequestro e affidate alla custodia di un amministratore giudiziario.

In conclusione, vista nel suo complesso, l’attività di polizia economico-finanziaria svolta dalle Fiamme Gialle viterbesi, sotto l’egida della Autorità Giudiziaria capitolina, ha permesso di constatare imposte evase (IRPEF, IRES, IVA e IRAP) per un importo superiore ad € 11.000.000 mentre le indebite compensazioni delle ritenute fiscali e dei contributi previdenziali ammontano a circa € 13.000.000.

L’odierno sequestro conferma la straordinaria importanza rivestita, nel nostro ordinamento, dalla possibilità di colpire i patrimoni degli amministratori di enti e società in relazione a fatti tributari penalmente rilevanti. L’ablazione dei patrimoni illecitamente costituiti nel tempo attraverso attività fraudolente sembra infatti il più efficace ed insostituibile strumento per far sì, ad un tempo, che venga garantita la soddisfazione del credito erariale che lo Stato vanta nei confronti degli indagati, che questi ultimi non abbiano la possibilità di trarre ulteriori indebiti vantaggi economici dalle frodi commesse, che risulti evidente ai cittadini onesti come i comportamenti criminali, ed i relativi indebiti guadagni, non sfuggano all’attività di controllo degli Enti preposti ed anzi, una volta scoperti, hanno anche un gravosissimo costo economico e sociale per gli autori. – [FONTE]
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Operazione Dirty slot. Gioco d’azzardo, arresti e sequestro di beni per 7 milioni di euro

23/01/2020 – Più di 70 finanzieri del Comando Provinciale di Lecce nella giornata odierna stanno eseguendo un’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali nei confronti di 10 persone ed un decreto di sequestro preventivo di beni per un valore di oltre 7 milioni di euro emessi dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce oltre che numerose perquisizioni in tutta la provincia di Lecce.

L’inchiesta denominata “Dirty Slot”, coordinata dalla Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce e condotta dal Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Lecce, ha smantellato un’organizzazione criminale legata al clan “Coluccia” e ad alcune frange brindisine della Sacra Corona Unita, in grado di imporre con metodo mafioso l’avvio, la gestione ed il controllo del mercato del gaming e del gioco d’azzardo legale ed illegale nelle province di Lecce, Brindisi e Taranto, oltreché nel Lazio, nelle provincie di Frosinone e Latina, gestendo un vorticoso giro d’affari nel settore delle famigerate slot machine, dei videopoker e nella raccolta di scommesse per eventi sportivi, fatte confluire sulle piattaforme informatiche di bookmaker stranieri.

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Proprio in tale ambito, le Fiamme Gialle salentine hanno accertato che gli imprenditori M.M. e M.A. risultano tra gli elementi apicali di un’importante consorteria criminale, egemone nel comprensorio di Galatina (LE), dedita al sistematico ricorso a metodi intimidatori per imporre la propria posizione di monopolio nello specifico settore, notoriamente di interesse delle mafie, non solo nel Salento ma anche in altre parti d’Italia. Numerosissimi gestori di bar, ristoranti e sale da gioco ricadenti nel “feudo” dei Coluccia, sono stati costretti, con l’imposizione della forza intimidatoria del vincolo mafioso ad installare oltre 400 slot machines e videopoker di proprietà delle società degli imprenditori arrestati, patendo – in caso contrario – minacce, attentati e ritorsioni, in alcuni casi, anche fisiche, da parte degli uomini del clan.

La complessa attività investigativa, svolta anche con l’ausilio delle intercettazioni, dei pedinamenti ed analisi di centinaia di conti bancari, anche esteri, ha dimostrato l’egemonia degli indagati nel territorio di Galatina e paesi limitrofi, in diverse aree del Salento oltreché fuori Regione, un business di milioni di euro legato alle scommesse sportive a quota fissa, ma illegali perché collegate a network esteri ed al gioco d’azzardo anche attraverso slot machine “taroccate”, cioè appositamente manomesse per interrompere i flussi telematici di comunicazione ai Monopoli di Stato, sottraendo ingenti guadagni all’imposizione dovuta allo Stato sull’ammontare delle giocate realizzate dai singoli dispositivi elettronici. Le indagini hanno, inoltre, valorizzato e confermato le dichiarazioni da tempo rese da diversi collaboratori di giustizia che hanno indicato gli odierni indagati come punto di riferimento della S.C.U. nella gestione del sistema dei giochi e scommesse nel Salento.

I provvedimenti di cattura sono stati eseguiti a Galatina, Aradeo, Corigliano d’Otranto e Carmiano ed agli arrestati ed a svariati “prestanome” è stato sequestrato, in Italia ed all’estero, un ingente patrimonio mobiliare e immobiliare frutto delle attività delittuose composto da fabbricati, terreni, autovetture, società, ditte individuali, polizze assicurative e conti correnti presso vari istituti di credito per oltre sette milioni di euro. Le ipotesi di reato contestate sono quelle di associazione per delinquere di tipo mafioso, frode informatica, esercizio di giochi d’azzardo ed esercizio abusivo di giochi e scommesse aggravati dal metodo mafioso, illecita concorrenza con minaccia o violenza e trasferimento fraudolento di valori.

Durante le indagini i militari del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Lecce hanno effettuato sequestri di apparecchiature elettroniche e svolto una verifica fiscale nei confronti della principale società degli indagati, constatando un’enorme evasione fiscale ai fini delle imposte dirette di circa 2,5 milioni di euro e di oltre 15 milioni di euro ai fini dell’IVA, grazie anche alla scoperta di documentazione extra-contabile in formato digitale rinvenuta negli hard disk della società, minuziosamente ricostruita dai militari delle Fiamme Gialle salentine.
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Sequestrati a Trapani beni per dieci milioni di euro ad ex armatore (video)

14/07/2019 – Il sequestro di beni è stato eseguito dalla Sezione Operativa della DIA di Trapani. Il provvedimento è diretta conseguenza del troncone palermitano dell’ indagine dei Carabinieri denominata “Mare Monstrum” che vede indagati con Vittorio ed Ettore Mora e, padre e figlio, anche l’ex governatore siciliano Crocetta e l’ex sottosegretario Vicari, nonché il politico più vicino a Morace, l’ex sindaco di Trapani ed ex deputato regionale Girolamo Fazio.

Il sequestro scaturisce dal giro di mazzette che avrebbe garantito a Morace di attingere senza difficoltà ai contributi regionali per la navigazione con aliscafi tra la Sicilia e le isole minori. Dieci milioni i soldi intascati grazie alla disponibilità di una dirigente regionale, Salvina Severino, ricambiata dall’assunzione della figlia presso la Liberty Lines, ma “tradita” nei rapporti con Morace dai diari del marito, un carabiniere, che sono stati sequestrati e dove passo sono appuntati dati e orari degli incontri e oggetto degli stessi, la corruzione raccontata in diretta.

Il provvedimento ha fatto scattare i sigilli a beni quasi tutti riconducibili a Vittorio Morace, oramai da un paio di anni riparato con la famiglia in Spagna: quote della Liberty per cinque milioni e mezzo di euro, conti correnti per due milioni e 300 mila euro, immobili per due milioni e 400 mila euro. A Ettore Morace sono state sequestrate quote della Liberty lines per 175 mila euro.

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Il sequestro colpisce la società di navigazione già sottoposta a commissariamento giudiziale quando vennero fuori i tentativi dei Morace di proseguire nel controllo e addirittura pilotarne la vendita, commissario fu nominato l’avvocato Marco Montalbano, adesso confermato amministratore giudiziario anche dai giudici delle misure di prevenzione.

Il provvedimento di sequestro d’urgenza è stato emesso dal Tribunale di Palermo, Sezione Misure di Prevenzione, su richiesta congiunta del Procuratore della Repubblica di Palermo e del Direttore della Dia. Ad eseguirlo la Dia di Trapani. Colpiti beni mobili ed immobili, terreni, quote azionarie e rapporti finanziari.

“Morace, il figlio Ettore e la società Liberty lines spa, sono stati già destinatari nel 2017 e nel 2018 di misure cautelari – affermano gli investigatori – con l’accusa di avere ottenuto numerosi vantaggi amministrativi indebiti, beneficiando altresì di finanziamenti pubblici regionali non spettanti per importi milionari, che gli consentivano di conseguire eccezionali utili d’impresa”.

L’opinione. Di tutta evidenza e notorietà, in Italia (e specialmente in Sicilia), alla base di ogni illecito e mafiosità, c’è stabilmente la trasversale CORRUZIONE del sistema pubblico-politico-istituzionale-giuridico-giudiziario-inquirente-investigativo-burocratico (spesso anche legalizzata con norme ingannevoli pari all’interiorità fallace delle Maggioranze Parlamentari, nazionali e regionali, che nel tempo le hanno propugnate) e che negli anni ha finito con l’inquinare mentalmente buona parte della società civile, ordini professionali, scuola, associativismo, sindacati, imprenditori, intellettuali, informazione, artisti. Il risaputo quanto dissimulato corrotto sistema costituzionale italiano Stato-Regioni-Comuni ha contaminato nei decenni intere generazioni. Sicché impera da tempo, culturalmente e quale prassi, la retorica, l’ipocrisia, la propaganda, la mazzetta, la tangente, il clientelismo, il voto di scambio, il favoritismo, il mercimonio, la prostituzione etica più generalizzata e sopra chiunque ed ogni cosa, dagli scranni più alti all’ultimo sgabello. Se ne può uscire solo rivedendo tutte le leggi, in modo chiaro, serio, leggibile, non dando adito a troppe successive interpretazioni giurisprudenziali, quindi rendendole efficaci e non solo propositive, severissime per tutti nessuno escluso, nonché anche proporzionali nelle pene a seconda del ruolo o livello rivestito nella Pubblica Amministrazione e politica, nessuno indenne. Il resto sono subdoli sofismi, elusioni, nascondimenti. – [FONTE]
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Restituito ai rom il tesoro sequestrato: tornano nelle loro mani oltre 2 milioni di euro

05/12/2018 – Devono essere restituiti ai loro proprietari, due famiglie rom di Prato, gli Ahmetovic e gli Halilovic, beni per un valore di 2,4 milioni di euro – case, soldi e gioielli – che furono loro sequestrati nel giugno 2017 nell’ambito dell’operazione della guardia di finanza, coordinata dalla procura, denominata ‘Falsi poveri’. Lo ha deciso il tribunale di Prato che ha azzerato le misure di prevenzione patrimoniale adottate quando scattò l’operazione. Secondo l’accusa c’era una sproporzione tra i redditi dichiarati e i beni posseduti dalle due famiglie.

Ma per il tribunale non sussisterebbe una correlazione temporale tra le condotte delittuose contestate e i beni sequestrati. Da qui la decisione di restituire tutti i beni nella disposizione delle famiglie alle quali erano stati sequestrati. Le famiglie Ahmetovic e Halilovic che vivono entrambe a Prato, rientreranno dunque in possesso dei loro beni. Il decreto di sequestro, finalizzato alla confisca, era giunto a conclusione delle indagini del nucleo di Polizia tributaria delle Fiamme Gialle su proposta dai sostituti procuratori Antonio Sangermano e Lorenzo Gestri, coordinati dal procuratore di Prato Giuseppe Nicolosi.

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Tra i beni sequestrati ci sono una villa, gioielli, numerose polizze e conti correnti. La decisione era arrivata «dopo aver valutato la perdurante pericolosità sociale di sette appartenenti allo stesso nucleo familiare di etnia Rom che nel tempo, servendosi anche di prestanome, sono riusciti a disporre di beni per un valore evidentemente sproporzionato rispetto ai redditi percepiti e dichiarati». Nonostante l’esistenza di questi patrimoni, ad una delle due famiglie era stato assegnato anche un alloggio temporaneo da parte del Comune di Prato, un appartamento di cui era stata revocata l’assegnazione proprio a causa delle indagini della GdF. – [LaNazione.it]
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Genova, confiscato tesoro da 600mila euro a don Euro: il prete aveva anche auto e diamanti

11/10/2018 – IL TRIBUNALE di Genova ha confiscato il tesoro di don Luca Morini, meglio conosciuto come don Euro, originario di Vecchiano. Soldi di un conto corrente, polizze assicurative, diamanti e una Fiat Cinquecento, che dalle mani del sacerdote sono passati a quelle del comando provinciale dei carabinieri. I giudici della sezione per le Misure di prevenzione del capoluogo ligure hanno accolto le richieste della Direzione distrettuale antimafia. Il valore dei beni sottratti all’ex parroco sfiora il milione di euro, basti pensare che nel solo conto corrente c’erano più di seicentomila euro e i diamanti (custoditi nel caveau della Intermarket Diamond Business) superavano i centomila euro.

I giudici genovesi hanno prima disposto il sequestro dei beni che sono stati poi confiscati, chiedendo al titolare di spiegare come avesse fatto ad accumularli. Era il primo giugno del 2018.

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In questi quattro mesi non sono arrivate risposte plausibili da parte dell’imputato – don Morini, scrivono i magistrati, non si è neppure presentato in tribunale –, anche perché la sorella Maria Cristina si è avvalsa della facoltà di non rispondere alle domande, in qualità di congiunta. Il collegio ha ritenuto il prete un soggetto pericoloso, nonostante la quiescenza. Vuoi per le sue condotte, vuoi per il rinvio a giudizio disposto dal tribunale di Massa, che vede Morini alla sbarra con l’accusa di truffa (ai danni dell’assicurazione e dei parrocchiani). Nelle motivazioni della confisca ci sono anche le minacce fatte al vescovo, monsignor Giovanni Santucci, circa un presunto dossier su altri prelati della diocesi. Minacce che gli hanno garantito l’usufrutto dell’appartamento acquistato per lui dalla diocesi, utenze comprese, lo stipendio di 800 euro mensili per la governante e una serie di somme di denaro sul suo conto. Una pressione estorsiva a cui veniva sottoposto il vescovo che gli inquirenti hanno scoperto grazie a una serie di intercettazioni.

DON EURO al monsignore spiega al telefono che vuole ingannare il medico legale della Cattolica assicurazioni per ottenere una pensione di invalidità e anche se l’alto prelato è scettico non dice di no. Ma c’è poi la truffa ai danni delle suore delle Figlie di nostra Signora: don Morini si è fatto dare 400 euro per dire la messa di suffragio per le sorelle defunte, somma che poi ha speso in una Beauty farm. Raggiro che ha utilizzato anche altre volte. Ma il prete si è finto pure giudice per estorcere denaro e pretendere del sesso telefonico a una delle sue vittime. E infine tutte le truffe ai parrocchiani, che mettevano mano al portafoglio credendo di aiutare la parrocchia e non di pagare i festini di don Luca. Un giro di denaro pazzesco, che in pochi anni lo aveva portato ad avere un milione e mezzo di euro su un conto corrente. Denaro che ha in parte investito nei gioielli e in parte ha speso per pagare i suoi vizi. Dopo l’azione della Dda e della procura apuana non potrà più farlo. In attesa della conclusione del processo che si sta celebrando in questi mesi, anche se i reati più vecchi rischiano di essere prescritti.
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Corte dei Conti sequestra 5 milioni a Roberto Formigoni, caso Maugeri: “Deviò la sua funzione pubblica per fini privati”

21/06/2018 – A cinque giorni dalla sentenza d’appello nel processo penale la Procura della Corte dei Conti della Lombardia ha disposto il sequestro di 5 milioni di euro a carico dell’ex governatore della Regione Roberto Formigoni per la vicenda Maugeri. I pm contabili hanno ordinati sequestri “conservativi” anche a carico degli altri imputati nel processo penale tra cui l’ex faccendiere Pierangelo Daccò e l’ex assessore Antonio Simone. Questi ultimi due hanno scelto di concordare la pena, mentre per l’ex senatore di Ap l’accusa ha chiesto una pena di 7 anni e mezzo, più alta di quanto inflitto dal Tribunale di Milano in primo grado: sei anni per corruzione. In totale la cifra sequetrata supera i 30 milioni di euro. Secondo la difesa, invece, la teoria dell’accusa “prima ancora di essere provata non tiene sotto il profilo della logica. Qui i giudizi, le impressioni si sostituiscono ai fatti. E sostenere che a monte c’è un sistematico asservimento” di Roberto Formigoni “e a valle le pressioni che egli fa, è una invenzione”, ha dichiarato uno degli avvocati dell’ex governatore, Luigi Stortoni.

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Le indagini della magistratura contabile: “Sistema illecito”

Ma anche la magistratura contabile condivide le conclusioni della Procura. Inoltre c’è stata “una complessa ed articolata attività istruttoria”, diretta da Salvatore Pilato, “perché fondata sugli analitici e puntuali riscontri di contabilità finanziaria, integrati dalle fonti probatorie provenienti dai giudizi penali, con la fondamentale collaborazione della Guardia di Finanza di Milano”, delegata ad eseguire i sequestri, i magistrati hanno definito “gli accertamenti relativi al finanziamento da parte della Regione Lombardia della Fondazione Salvatore Maugeri, ente ospedaliero accreditato con il sistema sanitario regionale”. Per i pm contabili, anche sulla base degli atti penali, è “emersa la distrazione dal finanziamento delle cosiddette funzioni non tariffabili, dei contributi regionali a finalità vincolata per l’importo stimato nell’invito a dedurre nella misura di euro 59.383.107″. Contestato un danno erariale, dunque, di quasi 60 milioni nei confronti della Regione Lombardia. Ed è emersa l’esistenza di “un sistema illecito composto da soggetti interni all’amministrazione regionale”, tra cui proprio l’ex governatore, “e da soggetti esterni, che hanno cooperato in consapevole concorso per la distrazione delle risorse economiche dalle finalità pubbliche”. Il “provvedimento cautelare” disposto dai magistrati “è stato limitato alle quote di profitto realizzate da ciascuno dei presunti responsabili”: 5 milioni a Formigoni, 4 milioni all’ex presidente della Fondazione Umberto Maugeri, 4 milioni all’ex direttore amministrativo Costantino Passerino e 10 milioni a testa a Daccò e Simone. I sequestri conservativi riguardano “beni immobili, crediti anche a titolo di vitalizio, conti correnti bancari” nei limiti “delle quote di arricchimento personale”. Per l’11 luglio è fissata l’udienza di convalida dei sequestri conservativi.


Formigoni “si adoperò per deviare la funzione pubblica a fini privati”
L’ex Governatore lombardo Roberto Formigoni “si è adoperato per ‘deviare’ la funzione pubblica a fini privati, avvalendosi dei ‘mediatori/agevolatorì Pierangelo Daccò e Antonio Simone, con interventi e pressioni sugli uffici regionali, mirati alla precisa finalità di drenare illecitamente una ingentissima quantità di risorse pubbliche, assegnate a copertura dei fondi destinati alle cosiddette funzioni non tariffabili”. La misura cautelare, spiegano i pm contabili, “è stata eseguita a garanzia del credito risarcitorio dell’Amministrazione regionale, a fronte della commissione di illeciti dolosi motivati da ragioni economiche“.

Allo “stato degli atti non risultano corrisposte le provvisionali” di risarcimento stabilite dal Tribunale di Milano con la sentenza del dicembre 2016 che ha condannato Formigoni anche a versare 3 milioni di euro, in solido con l’uomo d’affari Pierangelo Daccò e con l’ex assessore lombardo Antonio Simone, alla Regione Lombardia. Nel disporre ed eseguire i sequestri i pm contabili chiariscono anche che non hanno riconosciuto alcuna “rilevanza” alle confische disposte nel processo penale (oltre 6,6 milioni a carico di Formigoni) perché quelle confische penali “hanno una rilevanza esclusivamente sanzionatoria e non risarcitoria del danno pubblico“.

I magistrati: “Danno erariale di oltre 73 milioni di euro”
La Procura contabile spiega, inoltre, di aver eseguito i sequestri perché “l’ingente danno contestato rende assai probabile l’esecuzione di atti in grado di diminuire la garanzia patrimoniale del credito erariale” vantato dalla Regione Lombardia “da parte dei membri del sodalizio criminoso”. I magistrati, in particolare, hanno calcolato il danno erariale in relazione alle somme “retrocesse” a favore dei “partecipanti al sistema illecito”, tra cui Formigoni, e su un “complessivo finanziamento regionale” alla Maugeri, tra il ’98 e il 2010, di oltre 73 milioni di euro. Da questa cifra, però, è stato detratto il risarcimento di 14 milioni già corrisposto dalla Fondazione Maugeri alla Regione e, dunque, il danno finale è di circa 60 milioni. I presunti intermediari della corruzione, Daccò e Simone, tra l’altro, avrebbero girato “parte delle somme ricevute” dalla Maugeri “al Presidente Formigoni sia in contanti, sia sotto forma di utilità patrimoniali di vario genere e natura“, tra cui l’ormai famoso uso di yacht per le vacanze. Alla Maugeri, nel frattempo, “in violazione degli obblighi di imparzialità ed esclusivo perseguimento dell’interesse pubblico, sono state assegnate ingenti somme del fondo sanitario regionale”. Il “complesso sistema illecito”, infine, come emerso anche dall’inchiesta della Procura di Milano, era basato anche su una “rete di società italiane ed estere (anche in centri offshore)”. – FONTE
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EQUITALIA: QUALI BENI SONO PIGNORABILI E QUALI INTOCCABILI?

 IO URLO IL VOSTRO SILENZIO

Il sapere condiviso ci salverà!

IO DA EQUITALIA MI DIFENDO  e VI SPIEGO COME PROTEGGERE I VOSTRI BENI.

Equitalia: quali beni sono pignorabili e quali intoccabili?

 Il pignoramento non può estendersi a particolari categorie di beni.

Ecco quali sono le prime cose da conoscere .

EQUITALIA 3

Lo strumento che il nostro ordinamento pone a tutela dei creditori è l’esecuzione forzata: mediante tale procedimento, infatti, essi possono rivalersi su determinati beni dei debitori per tentare di soddisfare le proprie pretese.

L’atto con il quale prende il via l’esecuzione forzata è il pignoramento. Ma attenzione: non tutti i beni possono formarne oggetto!

Le regole che definiscono tali esclusioni sono parzialmente diverse a seconda che il creditore sia un soggetto qualsiasi o Equitalia. Ma soffermiamoci in particolare su quest’ultima: quali beni sono da essa intangibili?

 Stipendi

L’ente della riscossione, innanzitutto, non può pignorare lo stipendio degli italiani per un importo superiore a una determinata percentuale. Nel dettaglio, il pignoramento può riguardare al massimo un decimo degli stipendi di importo non superiore a 2.500 euro, un settimo degli stipendi di importo compreso tra 2.501 e 5.000 euro e un quinto degli stipendi di importo superiore a 5.000 euro.

 Pensioni

Venendo alle pensioni, anche esse sono in parte “salve”. Infatti l’ordinamento garantisce a tutti i cittadini un minimo vitale di sostentamento, in forza del quale Equitalia non può pignorare le pensioni di importo inferiore a quello dell’assegno sociale aumentato della metà.

A tal proposito ricordiamo che, con circolare del 31 dicembre 2015, l’Inps ha reso noto che per il 2016 l’importo dell’assegno sociale è stato fissato in 5.825 euro annuali, pari a 448,30 euro mensili per 13 mensilità.

 Conti correnti

Per quanto riguarda il conto corrente, poi, non è possibile per l’ente della riscossione pignorare l’ultimo stipendio o l’ultimo emolumento di pensione accreditato.

Prima casa

Un altro ancor più fondamentale bene che Equitalia non può pignorare è la prima casa. O meglio, non può farlo se essa è ad uso abitativo, il debitore vi risieda e sia lunica casa che possieda.

 

Per poter essere sottratta al pignoramento, poi, la casa non deve essere di lusso.

Se tali requisiti sussistono, in ogni caso, l’ente della riscossione che vanti nei confronti del debitore un credito superiore a 20mila euro può comunque iscrivervi ipoteca.

In assenza dei predetti requisiti, invece, la casa può ben essere pignorata, pur se a condizione che il credito vantato superi i 120mila euro.

 Beni mobili

Il nostro ordinamento, inoltre, tutela i suoi cittadini rendendo impignorabili alcuni beni mobili considerati essenziali.

Si tratta di una regola di carattere generale, che vale per tutti i creditori, e che si estrinseca nell’impossibilità di aggredire, ad esempio, i letti, gli armadi guardaroba e le cassettiere, i tavoli da pranzo e le sedie, il frigorifero, le posate, le stufe e i fornelli da cucina a gas o elettrici, la lavatrice, i commestibili e i combustibili necessari per un mese

 (più in generale leggi: Quali beni non possono essere pignorati?“).

 Fondo patrimoniale

Infine, Equitalia può pignorare solo a determinate condizioni il FONDO PATRIMONIALE COSTITUITO .

In particolare, esso può essere aggredito esclusivamente laddove il debito tributario contratto dal contribuente derivi da esigenze connesse ad esigenze della famiglia.

Recentemente, la Corte di cassazione ha a tal proposito chiarito che tali esigenze si estendono anche quelle volte a garantire uno sviluppo armonico della famiglia e a sostenere il potenziamento della capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze di natura voluttuaria o speculativa (cfr. Cassazione Civile, sez. VI-T, ordinanza 24 febbraio 2015 n. 3738).

Stiamo predisponendo un manuale di AUTO DIFESA  da EQUITALIA,

 un brevissimo vademecum su come comportarsi di fronte ad uno strapotere  concesso dalla classe politica a questa SOCIETA’ PRIVATA  ( equitalia è  una normale s.p.a. )    

IMPARIAMO A DIFENDERCI CON IL SAPERE.

EQUITALIA IMPIGNORABILI BENI

 LA PRESIDENZA PRO TEMPORE   ANDREA FISCO

Mafia Capitale: sequestrati 16 milioni di beni riconducibili a Buzzi

BUZZIROMA 15/06/2015 – Sigilli alla società che gestiva anche una casa di accoglienza. Sedici milioni di euro di beni. A tanto ammonta il valore del sequestro eseguito dalla guardia di finanza di Roma nei confronti di Salvatore Buzzi, il ‘ras’ delle cooperative sociali arrestato a dicembre nella prima ondata dell’inchiesta su Mafia capitale.

Il nuovo provvedimento emesso dal Tribunale di Roma – Sezione Misure di Prevenzione, eseguito da parte del Gico del Nucleo di polizia tributaria, riguarda le quote societarie, il capitale sociale e l’intero patrimonio aziendale, comprese le disponibilità finanziarie, della Sarim Immobiliare S.r.l.: una società operante nel settore della “locazione immobiliare di beni propri”, legalmente rappresentata e partecipata (per il 6%) da Emanuela Bugitti – già colpita da due ordinanze di custodia cautelare – nonché dallo stesso Buzzi (6%) e da Carlo Maria Guarany (1%) – e risulta controllata dalla coop “29 Giugno”, per il 48%, e “Formula Sociale a r.l. Onlus”, per il 4%, entrambe già sequestrate dicembre scorso.

Al patrimonio della Sarim Immobiliare S.r.l. corrispondono disponibilità finanziarie, partecipazioni societarie e, soprattutto, in un palazzo di 2.750 metri quadrati in via Santa Maria di Loreto, zona Castelverde a Roma, utilizzata dalle cooperative di Buzzi come casa di accoglienza, dedicata a donne, minori, rifugiati e richiedenti asilo.

Dopo il sequestro di oggi, il totale dei beni cautelati nell’ambito dell’operazione “Mondo di Mezzo” supera i 360 milioni di euro. Prosegue, ininterrottamente, da parte del Tribunale di Roma e della Guardia di Finanza, il recupero di spazi di legalità economica. Fonte

Relazione commissione entro domani in mani prefetto Gabrielli
Intanto la relazione della comissione prefettizia sul presunto condizionamento mafioso nella amministrazione comunale di Roma, dopo la bufera giudiziaria espolosa con l’inchiesta su Mafia capitale, sarà al più tardi entro domani sul tavolo del prefetto di Roma Franco Gabrielli. Il lavoro svolto dai tre commissari (il prefetto Marilisa Magno, il vice prefetto Enza Caporale e il dirigente del Mef Massimiliano Bardani), nominati nel dicembre 2014 dall’ex prefetto della capitale Giuseppe Pecoraro, è terminato. Gabrielli avrà 45 giorni di tempo per fare le sue valutazioni sulla relazione. Entro il 31 luglio dovrà inviare una relazione conclusiva al ministro dell’Interno, Angelino Alfano, cui spetterà decidere se dalla relazione emergono le condizioni

Prefetto Gabrielli: scioglimento Comune? Valuterò dopo analisi relazione
Gabrielli per ora non si sbottona. «Quando avrò letto la relazione farò le mie valutazioni sotto tutti i punti di vista», ha dichiarato al termine di un incontro col sindaco di Ciampino, in merito all’arrivo sulla sua scrivania della relazione degli ispettori della prefettura sull’amministrazione capitolina.

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