L’ex presidente francese Nicolas Sarkozy condannato a tre anni per corruzione
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02/03/2021 – Lunedi, a Parigi, Sarkozy è stato dichiarato colpevole di corruzione e di traffico d’influenze nella vicenda conosciuta come “scandalo delle intercettazioni”.
Tre anni, anzichè quattro
Sarkozy è stato condannato a tre anni di reclusione, due con la condizionale. L’ex presidente eviterà il carcere: inizialmente otterrà gli arresti domiciliari, forse con l’obbligo del braccialetto elettronico. Gli è andata bene, tutto sommato: l’accusa aveva chiesto quattro anni di condanna.
Un posto di rilievo in cambio di informazioni top secret
La vicenda risale al 2014, due anni dopo l’addio di Sarkozy all’Eliseo. Tutto nacque da intercettazioni telefoniche di colloqui di Sarkozy con il suo storico avvocato Thierry Herzog.
L’ex presidente è accusato di aver ottenuto informazioni coperte da segreto istruttorio da un magistrato, Gilbert Azibet, su un altro processo che lo vedeva coinvolto, il cosiddetto “scandalo Bettencourt” (dal nome dell’erede L’Oréal) in cambio di un posto di rilievo, per il magistrato, alla Corte di revisione giudiziaria nel Principato di Monaco (posto che Azibet, poi, non ottenne).
Scandali a non finire
Lo “scandalo delle intercettazioni”, detto anche “Affaire Bismuth”, dal nome fittizio – Paul Bismuth – che Sarkozy utilizzava per la linea telefonica segreta con il suo avvocato, è legato alla vicenda delle tangenti libiche per la campgna presidenziale, vinta, del 2007. I giudici, quando gli misero sotto controllo il cellulare per indagare sul presunto denaro arrivato da Tripoli, scoprirono i favori richiesti dall’ex presidente al giudice Azibet.
Secondo l’accusa, un vero e proprio “patto di corruzione” è stato concluso tra Sarkozy, l’avvocato Herzog e l’allora magistrato Gilbert Azibert, anch’essi riconosciuti colpevoli.
Sempre più ombre, dunque, su Sarkozy. E, di fatto, fine della sua carriera politica. – [FONTE]
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Denis Verdini condannato in Cassazione per il crack del Credito fiorentino: 6 anni e mezzo. Adesso dovrà andare in carcere
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03/11/2020 – Denis Verdini rischia di andare in carcere. Almeno per qualche mese. La Cassazione infatti ha confermato la condanna d’appello per l’ex senatore di Forza Italia, che dunque è stato dichiarato colpevole in via definitiva per la bancarotta del Credito cooperativo fiorentino. I 6 anni e 10 mesi del secondo grado sono diventati sei anni e mezzo visto che quattro mesi sono andati in fumo a causa della prescrizione.
I supremi giudici non hanno dunque accolto la richiesta del sostituto procuratore generale della Cassazione, Pasquale Fimiani, che, nell’udienza di ieri, aveva chiesto per Verdini un nuovo processo d’Appello sollecitando l’annullamento con rinvio per numerosi episodi relativi alla bancarotta. Dichiarata la prescrizione, come richiesto anche dalla Procura Generale, per i reati di truffa relativi ai contributi all’editori degli anni 2010-11. Per questa vicenda Verdini è stato condannato sia in primo che in secondo grado insieme ad altri 15 imputati: il 3 luglio 2018 la Corte d’Appello di Firenze lo aveva condannato a sei anni e dieci mesi di reclusione, riducendo la pena inflitta in primo grado che era stata di nove anni.
Una sentenza che arriva dopo due rinvii dell’udienza davanti alla suprema Corte a causa dell’emergenza coronavirus: inizialmente prevista per lo scorso marzo, l’udienza era slittata prima al 17 luglio e con un nuovo rinvio disposto per poter discutere, che ha trascinato la sentenza fino a oggi.
Adesso per l’inventore di Ala, il gruppo parlamentare nato al Senato per sostenere il governo Renzi, si apriranno le porte del carcere. Colpa dell’età: sarà solo l’8 maggio del 2021, infatti, che Verdini comprirà 70 anni, limite d’età che gli consentirebbe di scontare la pena agli arresti domiciliari. L’ex senatore, dunque, finirà in prigione almeno fino a maggio: i sei anni e mezzo di condanna, tra l’altro, lo escludono dalle norme per abbassare la pressione nelle carceri e combattere il contagio del coronavirus. Possono chiedere di andare ai domiciliari, infatti, solo i detenuti con un residuo di pena da scontare inferiore ai 18 mesi. – [FONTE]
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Sentenze pilotate, pena esemplare all’ex Giudice Russo: 11 anni invece di 7 chieste dalla pubblica accusa
15/09/2020 – I giudici della II sezione penale di Roma hanno condannato a 11 anni di carcere il giudice del Consiglio di Stato Nicola Russo (ora sospeso) per l’accusa di corruzione in atti giudiziari per avere pilotato almeno tre sentenze. La procura aveva sollecitato una condanna a 7 anni e mezzo. I giudici hanno, inoltre, dichiarato estinto il rapporto di Russo con la pubblica amministrazione e disposto un risarcimento di 100 mila euro in favore della Presidenza del Consiglio, costituitasi parte civile, e di oltre 64 mila in favore dell’amministrazione giudiziaria a titolo di riparazione pecuniaria. L’indagine si basa sulle dichiarazioni dall’avvocato Pietro Amara secondo cui Russo, arrestato nel febbraio del 2019, avrebbe ottenuto da lui circa 80 mila euro (e altri 60mila promessi), per aggiustare sentenze di tre procedimenti davanti al Consiglio di Stato.
A far scattare l’inchiesta, che nel febbraio 2019 portò all’arresto di Russo, erano state le dichiarazioni dell’avvocato Piero Amara ai magistrati, ai quali riferì di aver dato al giudice 80mila euro, promettendone altri 60mila per far ‘aggiustare’ tre sentenze. Nell’ambito dello stesso procedimento, nel luglio 2019 hanno patteggiato una condanna a 2 anni e mezzo l’ex presidente del Consiglio di giustizia amministrativa siciliana Raffaele Maria De Lipsis e l’ex magistrato della Corte dei Conti Luigi Pietro Maria Caruso, accusati anche loro di corruzione in atti giudiziari.
Leggi anche: Sequestrati 230 mila capi contraffatti per un valore di 20 milioni di euro
Per un terzo imputato, il deputato ora sospeso dell’assemblea regionale siciliana Giuseppe Gennuso, il gup Costantino De Robbio ha derubricato l’accusa in traffico di influenze fissando in un anno e due mesi la pena. Oggi infine la condanna per Russo, che ha scelto di essere giudicato con rito ordinario. Per l’ex Giudice del Consiglio di Stato il pm aveva chiesto una condanna a 7 anni e mezzo.
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Prigione per 15 anni al blogger Chen Jieren: ha ‘denigrato’ il Partito accusandolo di corruzione
03/05/2020 – La corte di Guiyang (Hunan) ha condannato a 15 anni il giornalista-blogger Chen Jieren per aver “denigrato” il Partito comunista cinese, avendo spesso accusato di corruzione i suoi leader. La sentenza è stata emanata lo scorso 30 aprile. Con lui sono stati condannati anche suo fratello Chen Weiren e una collega Liu Min. Tutti loro hanno lavorato in due blog, diffusi su Wechat e Weibo, in cui essi pubblicavano notizie, inchieste, commenti sulla società cinese.
Le accuse vanno dal “creare discussioni e disordini”, a “estorsione e ricatti”, a “ricevimento di bustarelle”, a “commercio illegale”. Chen Jieren, oltre a 15 anni di prigione, è stato sanzionato con una multa di 7 milioni di yuan (circa 1 milione di euro), il fratello è stato condannato a 4 anni di prigione e una multa di 10mila yuan (circa 1300 euro). Liu Min non ha ricevuto nessuna condanna.
Secondo la corte, Che “ha usato i social per pubblicare notizie false o negative, esagerando in modo malizioso alcuni incidenti di massa [rivolte-ndr], attaccando e denigrando il Partito e il governo, gli organi giudiziari e i loro impiegati, istigando conflitti, minacciando le proprietà pubbliche e private”.
Chen Jieren era stato arrestato nel luglio 2018, dopo che egli aveva pubblicato un’inchiesta in cui denunciava la corruzione dei leader locali dell’Hunan.
Mentre egli e alcuni suoi familiari rimanevano in isolamento, nell’agosto 2018 i media statali hanno lanciato una campagna contro di lui, accusandolo di “sabotare la reputazione del Partito e del governo e danneggiando la credibilità del governo”.
Che Jieren non è nuovo alle accuse e alle punizioni. Laureato alla facoltà di Legge alla Qinghua (Pechino), egli ha lavorato come giornalista in diverse pubblicazioni dello Stato. Nel 2003 è stato licenziato dal “China Youth Daily” per aver scoperto un giro di prostituzione fra gli studenti dell’università di Wuhan; nel 2006 è stato allontanato dal “China Philanthropy Times”, perché troppo critico verso un portale governativo; nel 2011, è stato licenziato dal “Quotidiano del popolo” per essere “troppo critico verso il governo”.
Il Chrd (Chinese Human Rights Defenders), che ha diffuso la notizia della sua condanna, commenta: “La pesante sentenza inflitta a Chen è un chiaro avvertimento verso i blogger indipendenti e i [cosiddetti] cittadini giornalisti”. La Cina è uno dei luoghi dove la libertà di stampa è più a rischio: nel WorldPress Freedom Index del 2020 è al 177mo posto su 180 paesi.
Covid-19, l’Oms lancia raccolta fondi
Si chiama Solidarity response fund. Come donare: Per donare al Solidarity Response Fund, potete andare sul sito http://who.int e cliccare sul bottone arancione “Donate” in cima alla pagina.
Oppure attraverso il canale Facebook.
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Oliviero Toscani “come un imam”, condannato per blasfemia: la stangata per aver insultato la Chiesa
23/10/2019 – Deliri e insulti si pagano. Ne sa qualcosa Oliviero Toscani, il celebre fotografo nonché insultatore professionista di Matteo Salvini e soprattutto di chi vota Lega. Ma in questo caso, al centro dell’attenzione, alcune sue prese di posizioni inaccettabili contro la Chiesa. Già, perché a La Zanzara di Radio 24 dello scorso 2 maggio dell’ormai lontano 2014 disse: “Se sei un extraterrestre che atterro in Italia ed entri in una bellissima chiesa cattolica e vedi uno attaccato, inchiodato a una croce che sanguina, dei bambini nudi che volano, San Bernardo tolta la pelle… Io credo che un club sadomaso non sia così all’avanguardia”.
Parole che hanno portato alla condanna di Toscani: il tribunale di Milano, infatti, lo ha puntio per “offese a una religione mediante vilipendio di persone”. A corredo, anche una sanzione da 4mila euro. Nelle motivazioni della condanna, il giudice Ambrogio Moccia, paragona Toscani a un imam di Hamas: “La definizione di Cristo in croce come di ‘uno attaccato’ è una manifestazione di profondo disprezzo per i valori del cristianesimo, una esternazione confrontabile solo al peggior linguaggio propagandistico di un predicatore del fondamentalismo islamico”. Toscani come l’Isis, insomma. – [FONTE]
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Vietnam, attivista condannato per aver scritto post contro la corruzione
01/08/2019 – L’attivista vietnamita Ha Van Nam è stato condannato ieri a 30 mesi di carcere per “disturbo all’ordine pubblico”, ai sensi del famigerato articolo 318 del codice penale. Rischiava fino a sette anni. Si è trattato di una mera vendetta per via giudiziaria, nei confronti di un pacifico e coraggioso uomo che attraverso Facebook si ostinava a denunciare le violazioni dei diritti umani, l’ingiustizia e la corruzione.
Il 28 gennaio era stato rapito da sconosciuti, caricato su un’automobile, portato in un luogo a lui ignoto, picchiato e “invitato” a smettere di scrivere. Aveva sporto denuncia alla polizia. Non solo non era stata aperta alcuna indagine ma il 12 febbraio gli erano fatte trovare delle teste di galli mozzate sul tetto della sua automobile, imbrattata ovunque di sangue.
Nonostante questi “avvertimenti”, Ha Van Nam aveva continuato a scrivere. L’ultimo post risale al 4 marzo, il giorno prima dell’arresto. Le organizzazioni per i diritti umani hanno immediatamente chiesto la scarcerazione di Ha Van Nam. Il numero dei prigionieri di coscienza, condannati a pene detentive solo per aver esercitato il loro diritto alla libertà d’espressione, è arrivato a 128. Il 10 per cento di loro è stato condannato per l’attivismo sui social. – [FONTE]
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Compensi in cambio di segnalazioni di incidenti: condannato per corruzione maggiore dei carabinieri
01/08/2019 – E’ stato condannato a tre anni e 8 mesi e non potrà più far parte dell’Arma dei Carabinieri il maggiore Luigi De Ciutiis, processato per corruzione e rivelazione di atti d’ufficio insieme a Claudio Bartolotta, dipendente di un franchising di Novara della Gestione Sinistri specializzato nei risarcimenti. Il funzionario della società è stato condannato a due anni e 10 mesi.
I carabinieri di Torino avevano scoperto che il maggiore e l’impiegato si erano messi in affari: il primo segnalava, in cambio di un compenso, al secondo gli incidenti stradali più gravi, quelli che contavano vittime o feriti molto seri. L’inchiesta è stata coordinata dal pm Gianfranco Colace. L’indagine aveva portato alla luce diversi casi, tutti nel 2017, in cui il carabiniere, che allora prestava servizio al nucleo radiomobile, aveva rivelato dati personali e atti d’ufficio relativi alle vittime degli incidenti più gravi consentendo a Bartolotta di accaparrarsi le loro famiglie come clienti per ottenere i risarcimenti.
Quando il carabiniere non trovava tutte le informazioni negli atti che arrivavano in ufficio, con il suo grado di maggiore, non si faceva problemi a chiamare le singole stazioni dei carabinieri per chiedere nomi e numeri di telefono. E’ stato uno dei carabinieri a cui aveva chiesto informazioni a segnalare al Comando provinciale il comportamento anomalo dell’ufficiale e l’Arma aveva avviato un’indagine. La sentenza è stata emessa ieri dal giudice Alessandra Danieli che ha disposto per il maggiore anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Su di lui era stato avviato anche un procedimento disciplinare da parte dell’Arma. – [FONTE]
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Condannato l’architetto che «ideò» il bunker del boss Zagaria
17/07/2019 – Era un fortino sotterraneo speciale, dove probabilmente il boss amava mangiare il suo piatto preferito – le orecchiette alle cime di rapa – in tutta tranquillità. A costruirlo era stato un carpentiere con il benestare di un colletto bianco. Due giorni fa è stato condannato chi, per gli inquirenti, rese possibile la costruzione del bunker-cassaforte nel cuore di Casapesenna, in via Santagata. Sette anni di carcere per l’architetto Domenico Carmine Nocera, accusato di aver redatto il progetto e la richiesta di concessione edilizia per la costruzione del bunker del latitante Michele Zagaria, il capo dei capi del clan dei Casalesi. Questa la sentenza emessa dal tribunale di Napoli nord, sezione con presidente Eleonora Pacchiarini, giovedì, al termine di una lunga camera di consiglio.
Ha retto l’impianto accusatorio della procura Antimafia di Napoli, sostituto procuratore Maurizio Giordano. Il pm aveva chiesto la condanna a 10 anni di reclusione ai giudici. Gli avvocati difensori Claudio Botti e Alessandro Barbieri avevano, invece, chiesto l’assoluzione. I giudici hanno concesso le attenuanti generiche condannando il professionista di Caserta a 7 anni di reclusione. Ora si apre la partita dell’Appello, dopo il deposito della motivazione. In realtà, l’architetto era finito anche nell’inchiesta per la costruzione del parcheggio di via San Carlo a Caserta e qualche tempo fa il Pd chiese ufficialmente la revoca di alcuni incarichi affidati da enti pubblici all’architetto.
Stando ai collaboratori di giustizia, il professionista farebbe parte della schiera di quei colletti bianchi della zona grigia tra camorra e affari: avrebbe messo a disposizione lo studio a persone vicine al clan, le stesse persone che gli sarebbero tornate utili per ottenere incarichi di direzione lavori a Caserta.
Inoltre, Nocera avrebbe incontrato nel suo studio Zagaria durante la latitanza e gli avrebbe predisposto il contratto di locazione di un’altra villetta-bunker di Casapesenna, in via Santagata, quella dove il boss si sarebbe nascosto dal maggio 2005 al luglio 2008. Lo ha rivelato ai magistrati Generoso Restina, l’uomo che in quei tre anni è stato il vivandiere del boss di Casapesenna. In realtà, per la costruzione vera e propria del bunker nella casa di Generoso Restina di Casapesenna in via Santagata era stato già condannato per favoreggiamento il muratore Francesco Nobis.
Fra le pieghe dell’inchiesta spuntò la circostanza secondo la quale un vecchio immobile del casertano fu raso al suolo e ricostruito in villetta con annesso bunker sotterraneo per proteggere la latitanza di Zagaria. La villetta venne poi intestata a una prestanome. – [IlMattino.it]
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Expo, sindaco di Milano Sala condannato a 6 mesi di reclusione per l’appalto della Piastra: pagherà 45mila euro
05/07/2019 – Il sindaco di Milano Giuseppe Sala, ex ad di Expo, è stato condannato a semi mesi di reclusione, convertiti in pena pecuniaria di 45mila euro, nel processo milanese in cui era imputato per falso materiale e ideologico per la presunta retrodatazione di due verbali con cui, nel maggio del 2012, sono stati sostituiti due componenti della commissione di gara per l’assegnazione del maxi appalto per la Piastra dei servizi dell’Esposizione Universale del 2015.
La sentenza è stata emessa dai giudici della decima sezione penale. “Questa sentenza non produrrà effetti sulla mia capacita di essere sindaco di Milano”, ha detto il primo cittadino dopo la condanna a sei mesi nel processo Expo. “Assicuro i milanesi – ha aggiunto – che resterò a fare il sindaco per i due anni che restano del mio mandato. Di guardare avanti ora non me la sento”. [IlFattoQuotidiano.it]
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