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Occupazione abusiva del Maam, il Tribunale condanna Meloni e Piantedosi: “Devono pagare 6,3 milioni”

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17/04/2023 – Il Maam, il Museo dell’altro e dell’altrove, costa altri 6,3 milioni di euro alla presidenza del Consiglio e al Viminale. Così ha deciso il tribunale civile, che il 13 marzo ha condannato la premier Giorgia Meloni (la stessa che promette tolleranza zero sulle occupazioni abusive) e il ministro Matteo Piantedosi a versare la somma ai proprietari dell’ex salumificio Fiorucci in via Prenestina di proprietà della famiglia Salini ma occupato senza soluzione di continuità dal 27 marzo 2009.
Secondo il Tribunale civile di Roma sostiene che lo Stato “ha tenuto una condotta ingiustificatamente omissiva, caratterizzata dalla protrazione nel tempo di una sostanziale dismissione dei compiti di pubblica sicurezza”. Nella sentenza  la giudice Assunta Canonaco ha evidenziato come quanto comportamento omissivo sia proseguito anche sotto la guida di Piantedosi e Meloni, benché entrambi hanno più volte sottolineato nei loro programmi politici l’intenzione di combattere le occupazioni abusive.

Per questo motivo, il Tribunale ha anche deciso che lo Stato dovrà corrispondere un indennizzo ai proprietari dello stabile fino al suo sgombero. Questi soldi, oltre ai 6,3 milioni, vanno ad aggiungersi agli altri 27,9 milioni di euro già versati in precedenza.

CoronaVirus, anche Benetton & C. chiedono soldi al governo


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29/03/2020 – Autostrade – L’Aiscat, l’associazione di settore, scrive al governo: “Stop a tasse e canoni. Dateci un contributo, altrimenti falliremo”. Fino a un mese fa, la paura più forte era di subire la revoca della concessione per il disastro del ponte Morandi di Genova. Ora, Autostrade per l’Italia (Aspi) dei Benetton guida la carica dei concessionari che chiedono soldi al governo per far fronte all’emergenza coronavirus, ventilando il rischio di fallimento.

Se volete la definizione di paradosso, eccola. E ha come protagonisti i Benetton, il governo e le autostrade. Fino a un mese fa, si parlava della revoca della concessioni per il disastro del ponte Morandi di Genova. Ora, Autostrade per l’Italia (Aspi) dei Benetton guida la carica dei concessionari che chiedono soldi al governo per far fronte all’emergenza coronavirus, ventilando il rischio di fallimento. Come fa sapere Carlo Di Foggia con un articolo su Il Fatto Quotdidiano, “la lettera, allarmata e minacciosa, è stata spedita lunedì scorso ai ministri dei Trasporti e dell’Economia Paola De Micheli e Roberto Gualtieri. La firma il presidente dell’Aiscat, l’associazione delle concessionarie, Fabrizio Palenzona, uomo di fiducia dei Benetton”.

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La missiva, tre pagine, ha come oggetto “Emergenza Covid-19, ripercussioni su comparto autostradale. Richiesta provvedimenti urgenti”. Palenzona mette in guardia dalle “inevitabili ricadute sul settore delle limitazioni agli spostamenti imposte dalle norme emergenziali: le autostrade – si legge – stanno assistendo a un crollo del traffico veicolare senza precedenti nella storia”, stimato in “circa l’80 per cento sull’intera rete”. Questo “comporta sin da ora gravi ripercussioni sulla capacità dei concessionari di poter sostenere i costi operativi connessi alla necessità di mantenere in esercizio le infrastrutture, nonché un grave pregiudizio alla possibilità di generare sufficiente cassa dalla riscossione delle tariffe”. Palenzona avvisa che “è a rischio la sopravvivenza stessa di molti operatori” se l’emergenza durasse oltre marzo. Palenzona lamenta che i concessionari sono esclusi dalle misure del decreto “Cura Italia” e perciò detta la ricetta, chiedendo una misura che sospenda “qualsiasi imposta, tassa o debito a favore delle amministrazioni dello Stato o di enti o società a prevalente capitale pubblico”. Non solo. Palenzona chiede anche “una moratoria garantita dallo Stato” dei debiti verso le banche e “la sospensione dell’ammortamento dei beni devolvibili” e, già che c’è, pure “un contributo in conto esercizio, da erogarsi per assicurare la continuità e la sicurezza del servizio” e che vada a coprire lo sbilancio tra costi manutentivi e i pedaggi realmente incassati. – [C. Di Foggia il F.Q.]
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“Patata bollente”, Tribunale di Milano e Ordine Giornalisti condannano Libero per il titolo “sessista” su Virginia Raggi

23/11/2018 – È arrivata la condanna unanime del Tribunale di Milano e dell’Ordine dei Giornalisti per il titolo messo in prima pagina da Libero il 10 febbraio 2017, “La patata bollente”. Poi in occhiello “La vita agrodolce di Virginia Raggi” e sotto una foto della sindaca, a cui si riferiva. Come riferisce Prima Comunicazione, la V sezione civile del Tribunale di Milano ha confermato con sentenza di primo grado la delibera del Consiglio di disciplina dell’Ordine nazionale dei Giornalisti contro Pietro Senaldi, direttore responsabile della testata guidata da Vittorio Feltri, del quale il giudice ha respinto il ricorso, condannandolo anche al pagamento delle spese legali, circa 20mila euro.

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Come ha sottolineato il Consiglio Nazionale di Disciplina dell’Ordine, il titolo del quotidiano presenta “evidenti richiami sessuali”, un “dileggio” sessista proprio perché la sindaca “è donna” e si parlava delle sue vicende personali, legandole alla notizia dell’inchiesta in cui era stata coinvolta la sindaca Raggi. Il Tribunale di Milano ha respinto così la versione del “doppio senso, inteso con un’accezione affettuosa” sostenuto da Senaldi nella sua difesa al Consiglio della Lombardia. Titolando così infatti, il quotidiano accostava Virginia Raggi alla vicenda giudiziaria di Silvio Berlusconi e delle “olgettine”.

La questione è tornata d’attualità in questi giorni quando il vicepremier e leader del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio ha citato proprio questo titolo di Libero per giustificare gli attacchi di alcuni esponenti del M5s ai giornalisti colpevoli, a loro dire, di “sciacallaggio” su Virginia Raggi tanto più perché donna. Ma proprio dall’Ordine dei giornalisti, che i grillini vorrebbero abolire, è partita la procedura che ha portato alla condanna in Tribunale. – [IlFattoquotidiano.it]
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La Grecia vuole chiedere alla Germania 279 miliardi in risarcimenti di guerra

12/10/2018 – Il governo greco, ora libero dal suo programma di salvataggio, ha intenzione di rinnovare la sua richiesta alla Germania di pagare 279 miliardi di euro per risarcire i danni di guerra causati dall’occupazione nazista durante la seconda guerra mondiale. Una richiesta che potrebbe mettere a dura prova le già difficili relazioni tra i due paesi.

Questa settimana il presidente greco, Prokopis Pavlopoulos, solleverà la questione durante un incontro ad Atene con il suo omologo tedesco, Frank-Walter Steinmeier. Lo ha confermato ad Euronews Triandafyllos Mitafidis, presidente della commissione parlamentare greca per i risarcimenti di guerra.

Perché i greci vogliono un risarcimento?
Le richieste della Grecia sono duplici. In primo luogo, vogliono un risarcimento per i crimini di guerra commessi dalla Germania e dall’Italia durante l’occupazione del paese tra il 1941 e il 1944. Durante questo periodo interi villaggi furono spazzati via, decine di migliaia di persone morirono di fame e più di 70.000 ebrei greci furono deportati.

La seconda parte delle rivendicazioni si riferisce ai costi finanziari con cui la Grecia ha dovuto fare i conti alla fine del conflitto. Quando le potenze dell’Asse si ritirarono l’economia del paese era a pezzi, con la maggior parte delle sue infrastrutture quasi completamente distrutta.

Anche le casse dello Stato erano state saccheggiate, poiché la Convenzione dell’Aia del 1907 stabiliva che gli Stati occupati dovevano pagare le spese di sostentamento e di mantenimento delle truppe occupanti. Inoltre la Grecia era stata obbligata ad erogare un prestito di 476 milioni di marchi, poi utilizzato per finanziare le campagne naziste in Nord Africa.

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Che cosa è stato concordato dopo la guerra?
Dopo la sconfitta dei nazisti, i trattati di pace di Parigi del 1946 definirono le riparazioni di guerra che i vari paesi coinvolti avrebbero dovuto pagare.

La Grecia ricevette 105 milioni di dollari dall’Italia (poco più dell’Unione Sovietica) e 45 milioni dalla Bulgaria. Ma la Germania non ha concluso un trattato di pace di questo tipo prima del 1990, poiché era stata divisa in due parti – Ovest e Est.

Nel febbraio 1953 fu firmato un altro patto, noto come Accordo di Londra, che copriva i debiti generali della Germania nei confronti dei paesi vincitori. Il debito tedesco anteguerra fu ridotto di circa il 50% e dilazionato in un periodo di trent’anni.

Dopo il 1953, la Germania Ovest ha concluso diversi accordi con singoli stati per pagare un risarcimento supplementare. Nel 1960 ha concordato con la Grecia di pagare 115 milioni di marchi tedeschi ai cittadini greci vittime dell’occupazione tedesca.

In totale, secondo Reuters, la Germania ha pagato circa 72 miliardi di euro in riparazioni di guerra.


Perché la Grecia chiede un risarcimento ora?
La questione dei risarcimenti di guerra ha ripreso vigore nel 2010, quando l’economia del paese è crollata in recessione, con i creditori – tra cui la Germania – che hanno chiesto riforme nell’ambito di un programma di salvataggio.

Un rapporto parlamentare sull’argomento è stato commissionato e pubblicato nell’agosto 2016, ma è stato congelato in attesa che venisse completato il programma di salvataggio, durato otto anni, durante i quali la Grecia ha ricevuto 240 miliardi di euro di aiuti finanziari.

Da quando, ad agosto, il piano di aiuti sottoscritto con la Troika si è concluso, sia il presidente Pavlopoulos sia il primo ministro Alexis Tsipras hanno affermato di voler insistere nella richiesta di risarcimenti alla Germania.

“Chiedere un risarcimento alla Germania è un dovere storico”, ha detto il mese scorso Tsipras durante nel corso di una cerimomia a Creta per ricordare la distruzione del villaggio di Kandanos e l’uccisione dei suoi 180 abitanti, avvenuta nel 1941.

Perché 279 miliardi di euro?
Nell’aprile 2015 l’allora viceministro delle finanze Dimitris Mardas ha annunciato che, secondo la Ragioneria generale del paese, la Germania doveva alla Grecia 278,7 miliardi di euro di risarcimenti.

Mardas ha chiesto inoltre alla Germania di rimborsare il prestito forzato concesso durante la guerra, equivalente a 10,3 miliardi di euro di oggi.

Cosa succederà ora?
Secondo il settimanale tedesco Der Spiegel il parlamento greco dovrebbe avviare i lavori a novembre, approvando i risultati del rapporto parlamentare del 2016 sull’argomento.

Il governo dovrebbe poi discutere il suo caso all’estero, anche in Germania, presso l’Unione Europea e l’Onu.

Infine, la Grecia chiederà alla Germania di avviare i negoziati.

Qual è la posizione tedesca?
La Germania ha ripetutamente respinto le richieste della Grecia e afferma di aver onorato i suoi obblighi, tra cui il pagamento di 115 milioni di marchi tedeschi alla Grecia nel 1960.

Berlino sostiene anche che, 70 anni dopo la guerra, qualsiasi rivendicazione di questo tipo ha da tempo “perso la loro base giuridica”.

Ma, secondo Der Spiegel, la Grecia potrebbe poi portare le sue richieste contro la Germania alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia. – FONTE
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AFFITTOPOLI: VIRGINIA RAGGI E IL COMUNE DI ROMA SARANNO RISARCITI

02/09/2018 – Un milione di euro di danno erariale. Almeno 72 immobili del comune di Roma dati in concessione per anni a canone ultra-agevolato, a vantaggio di finte associazioni, istituti religiosi, sindacati e partiti politici (più o meno mascherati) che non ne avevano diritto. Tutto ciò con contratti scaduti e mai rinnovati e con migliaia di euro di morosità non riscosse o addirittura mai contestate attraverso strumenti come il recupero crediti o lo sfratto. Un “comportamento inerziale” che ha prodotto centinaia di migliaia di euro di mancate entrate per le casse pubbliche fra “danno emergente e lucro cessante”, come si dice in diritto. Affittopoli arriva a dama. Almeno per quanto riguarda il file degli immobili non residenziali. Principale responsabile della loro disastrosa gestione, secondo la corte dei conti del Lazio, è stata la Romeo Gestioni dell’imprenditore Alfredo Romeo, l’uomo al centro dell’inchiesta Consip, che dal 2005 al 2014 ha amministrato con “pieni poteri” il patrimonio pubblico capitolino, secondo la procura generale conferitale dall’allora sindaco Walter Veltroni.

Il tribunale contabile ha emesso la sua sentenza mercoledì mattina, condannando la Romeo Gestioni al risarcimento di circa un terzo dei mancati introiti calcolati (1 milione sui 3 milioni circa), insieme all’ex assessore al Patrimonio della Giunta Alemanno, Alfredo Antoniozzi, che invece dovrà restituire al Campidoglio ben 80mila euro. Assolti invece i dirigenti capitolini che via via si sono succeduti, fra i quali Lucia Funari, Valter Palumbo e Luisa Zambrini, avendo la parte politica (all’epoca rappresentata da Antoniozzi) “concorso a non determinare un chiaro indirizzo politico, che poi potesse essere attuato dalle strutture amministrative, cui non era consentito di ‘autodeterminarsi’ nella scelta di tali indirizzi politici”.

LA SENTENZA E LE RESPONSABILITA’ DELLA ROMEO – Secondo i giudici, “emerge che la responsabilità derivante dal comportamento inerziale della Romeo Gestioni Spa non è solo formale, ma arreca un danno sostanziale alle potenzialità di entrata dell’ente e, quindi, a quelle di spesa con nocumento all’intera comunità”. A ciò si aggiunga, si legge, “che l’inerzia della Romeo Gestioni spa si ripercuote negativamente anche sulla complessiva gestione delle entrate del Comune di Roma, non solo privandolo di effettive disponibilità di cassa, con conseguente possibile maggior ricorso – e con i relativi oneri finanziari – all’anticipazione di cassa da parte del tesoriere comunale, ma anche producendo evidenti criticità nella fase programmatoria di bilancio”. La responsabilità diretta della Romeo – che inizialmente era stata chiamata fuori – si concretizza, secondo i giudici, in seguito al contratto che il Comune di Roma, nel 2005, aveva sottoscritto, assegnandole all’azienda napoletana “pieni poteri” sul patrimonio cittadino, come “censimento beni patrimoniali, censimento utenza, identificazione degli utenti, verifica della legittimità dei titoli di occupazioni, acquisizione documentazione istruttoria e predisposizione dei contratti, gestione delle posizioni senza titolo, calcolo ed aggiornamento dei canoni, acquisizione elementi reddituali dei nuclei familiari, computo oneri accessori, gestione rapporti di utenza, gestione morosità, gestione contenzioso giudiziale e stragiudiziale, gestione tecnica, manutenzione ordinaria e straordinaria”.

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LE INCHIESTE DEL 2014 E LA “SVOLTA” DEL 2017 – L’indagine della corte dei conti, iniziata nel 2014, era stata avviata dall’allora procuratore generale del Lazio, Raffaele De Dominicis a seguito di un’inchiesta giornalistica avviata dal quotidiano romano Il Tempo. Il cosiddetto scandalo “Affittopoli” aveva svelato, fra le altre cose, l’esistenza di decine di locali assegnati ad altrettante associazioni dietro le quali si celavano non solo partiti politici, ma anche vere e proprie attività imprenditoriali a scopo di lucro, fra le quali ristoranti, discoteche, club e altri servizi a pagamento perfettamente inserite nelle dinamiche di mercato. Nel calderone, complici la delibera 140/2015 voluta da Ignazio Marino e il giro di vite imposto successivamente dal commissario prefettizio Francesco Paolo Tronca, sono finite anche associazioni meritorie o dallo storico valore sociale, dalla Casa Internazionale delle Donne al Grande Cocomero, passando per la Viva la Vita Onlus che assiste i malati di Sla, onlus in alcuni casi tutt’ora sotto sfratto. Per ogni singolo caso, la procura contabile aveva aperto un’inchiesta separata, mettendo al centro delle indagini soprattutto i dirigenti capitolini. Ma le centinaia di fascicoli, ereditati poi dal pm Guido Patti, a partire dal 2017 avevano iniziato a collezionare archiviazioni su archiviazioni. La svolta arriva nell’aprile del 2017 quando le difese dei dirigenti depositarono il contratto sottoscritto fra l’allora giunta Veltroni e la Romeo Gestioni. “Una nuova notizia di reato”, come sottolineato in dibattimento dallo stesso pm Patti, che in seguito ha unificato i 78 fascicoli, instradando cosi’ l’inchiesta verso la sentenza appena pronunciata. – FONTE
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Diciotti, spuntano nuove accuse contro Salvini: I 190 immigrati hanno diritto di costituirsi contro Salvini per il risarcimento

30/08/2018 – Ogni giorno ne spunta una nuova. Parliamo delle accuse nei confronti del ministro dell’Interno Matteo Salvini in merito al caso della nave Diciotti. Al momento il leghista è accusato di sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio, insieme al suo capogabinetto. Ma secondo le ultime indiscrezioni, la procura di Agrigento ipotizza anche il reato di sequestro di persona a scopo di coazione, in quanto secondo i magistrati il titolare del Viminale avrebbe impedito lo sbarco per fare pressione sull’Unione Europea in direzione della ridistribuzione dei migranti.

PM invita gli stranieri a costituirsi contro Salvini
Il pm Luigi Patronaggio, che sta indagando contro Salvini per “sequestro di persona” per aver impedito di scendere ai clandestini sulla nave Diciotti, ora non solo prepara l’atto d’accusa, ma fa anche molto di più: ha chiesto i nomi dei 190 stranieri che erano a bordo della nave per invitarli a “costruirsi parte civile nel processo penale” contro il Ministro. In sostanza la costituzione di parte civile serve per chiedere il risarcimento del danno civile provocato dal reato.
La procedura prevista dal Tribunale dei Ministri infatti richiede che vi sia “immediata comunicazione ai soggetti interessati” che in questo caso sono gli eritrei della Diciotti, perché “possano presentare memorie al collegio o chiedere di essere ascoltati”. Il Pm ha quindi chiesto di allertare la squadra mobile di Agrigento e la Procura per i minorenni di Catania per identificare rapidamente tutti i soggetti interessati perché possano costituirsi.

Cosa viene contestato a Matteo Salvini
A Salvini viene contesto il reato di sequestro di persona con “abuso di poteri inerenti alle sue funzioni” e addirittura di “minorenni”. C’è anche chi, nel mondo giuridico, ha tacciato queste accuse di essere “strumentali” e addirittura c’è chi accusa Patronaggio di emulare le Mani Pulite degli anni ’90, cioè di usare strumentalmente la giustizia.

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Ma non finisce qui. Tra le ipotesi di reato c’è anche l’omissione d’atti di ufficio poiché avrebbe ignorato la richiesta della Guardia costiera di un porto sicuro, indicando Catania solo come scalo tecnico. Il procuratore Luigi Patronaggio sta effettuando ulteriori accertamenti e verifiche anche per quanto riguarda l’identificazione e la tutela dei diritti delle persone offese e per problemi di carattere tecnico-giuridico. L’intenzione è assicurare ai migranti che erano a bordo della Diciotti la la piena tutela legale e la possibilità di costituirsi in giudizio contro il ministro dell’Interno. Domani dovrebbero arrivare gli atti dell’inchiesta alla procura di Palermo. Gli uffici diretti da Francesco Lo Voi avranno 15 giorni per inviare tutto al Tribunale di ministri che avvierà la sua istruttoria decidendo entro 90 giorni (più eventuali sessanta) se archiviare o trasmettere nuovamente le carte al procuratore della Repubblica che dovrà inoltrare l’autorizzazione a procedere al Senato.

Intanto, è arrivata anche la risposta del ministro Matteo Salvini. Intervenendo a Venezia insieme al governatore Luca Zaia in occasione della firma del Protocollo di Legalità per la realizzazione della Superstrada Pedemontana veneta, ha commentato: “Oggi ho scoperto che ho altri due capi di imputazione, però per me sono medaglie”. – FONTE
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Sentenza choc. Macellaio padovano sparò al ladro albanese che gli stava rapendo il figlio: il pm chiede 5 anni

03/11/2017 – Il pm chiede una condanna a cinque anni e due mesi di reclusione per tentato omicidio: è questa la richiesta fatta da Emma Ferrero per Walter Onichini, il macellaio di Legnaro (Padova) che sparò a un ladro albanese, ferendolo. In caso di condanna il risarcimento chiesto dall’albanese ferito è di 324mila euro. “Onichini ha sparato perché temeva che i ladri avessero rapito il figlioletto”, ha spiegato l’avvocato dell’indagato, Ernesto De Toni.

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Il fatto successe nel luglio 2013. Onichini sparò e ferì alcuni malviventi che stavano cerando di rubargli l’auto sotto casa. Elson Ndrecam, albanese di 24 anni, rimase ferito, venne caricato da Onichini in auto e lasciato in un campo. La vittima si costituì in seguito come parte civile nel processo. – FONTE


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Banca Etruria, chiesti oltre 400 milioni agli ex amministratori. C’è anche Papà Boschi

16/10/2017 – L’azione di responsabilità contro gli ex vertici di Banca Etruria ha portato alla richiesta di oltre 400 milioni di euro di danni.

L’azione di responsabilità chiama in causa oltre 30 persone fisiche, più il revisore dei conti della vecchia banca prima del commissariamento nel febbraio del 2015. Tra questi ci sono gli ex presidenti Lorenzo Rosi e Giuseppe Fornasari e il consigliere Pier Luigi Boschi, padre del sottosegretario alla presidenza del consiglio Maria Elena Boschi.

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Oltre a tutti i consiglieri “finanziati” dalla banca con prestiti finiti in sofferenza. Come Augusto Federici, consigliere della banca e azionista del gruppo cementifero Sacci, esposto per 60 milioni nei confronti della banca. Come le operazioni in conflitto d’interesse imputate all’ ex presidente Rosi – presidente della coop edilizia La Castelnuovese – e al commercialista fiorentino Luciano Nataloni, che dal comitato crediti decideva affidamenti milionari alle aziende clienti del suo studio.

Proprio la gestione dei crediti, anche in conflitto d’interesse, è una delle condotte alla base dell’azione di responsabilità promossa del liquidatore della banca, Giuseppe Santoni. Oltre a questo, viene imputata la negligenza nella gestione dell’ istituto che avrebbe portato al depauperamento del patrimonio aziendale.



Quella di Etruria è l’ultima delle azioni di responsabilità ad arrivare in tribunale per quanto riguarda le quattro banche finite in risoluzione nel novembre del 2015. Tempi lunghi richiesti dal fatto che Etruria è stata l’ultima delle quattro ad essere commissariata, nel febbraio del 2015. Nel frattempo Etruria si avvia a scomparire. Dopo il cambio di nome in Banca Tirrenica deciso da Ubi subito dopo l’acquisizione, alla fine di novembre l’istituto aretino sparirà per essere assorbito in Ubi Banca. – FONTE

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Banche, addio ai risarcimenti Avete soldi vostri là dentro? Così non li riavrete mai più

02/07/2017 – Banche venete, sospese tutte le cause civili contro Veneto Banca e Popolare di Vicenza: a rischio i soci. i complica di giorno in giorno la vita di chi vuole ottenere un risarcimento da Veneto Banca e Popolare di Vicenza. A rendere tutto più difficile ci ha pensato la decisione del presidente del Tribunale delle imprese, Liliana Guzzo, di sospendere tutte le cause civili pendenti contro i due istituti veneti. Come riporta la Stampa, si tratta di centinaia di cause intentate da parte dei soci che avevano investito in titoli, già praticamente azzerati con la liquidazione delle due banche.

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Sarebbero migliaia i soci che non hanno accettato l’adesione alla transazione proposta dai due istituti la scorsa primavera. Per loro restano ora 60 giorni per chiedere un risarcimento ai commissari liquidatori e vedersi riconosciuti i propri crediti. Il percorso però è tutt’altro che lineare: “Non è detto che la domanda di riconoscimento dei crediti venga accolta – ha spiegato alla Stampa l’avvocato Maria Bruschi – soprattutto se non è ben documentata i commissari possono rifiutarla”.

L’unica strada percorribile per ora è quella di rivolgersi all’arbitro per le controversie finanziarie. Gli studi legali stanno raccogliendo diverse adesioni per costruire un’azione collettiva contro chi avrebbe dovuto vigilare sulle due banche bollite. E nel mirino c’è anche il famigerato decreto salva-banche da poco sfornato dal governo Gentiloni, che potrebbe rischiare di saltare se ne venisse riconosciuta l’incostituzionalità. Fonte LiberQuotidiano.it



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