02/09/2018 – Un milione di euro di danno erariale. Almeno 72 immobili del comune di Roma dati in concessione per anni a canone ultra-agevolato, a vantaggio di finte associazioni, istituti religiosi, sindacati e partiti politici (più o meno mascherati) che non ne avevano diritto. Tutto ciò con contratti scaduti e mai rinnovati e con migliaia di euro di morosità non riscosse o addirittura mai contestate attraverso strumenti come il recupero crediti o lo sfratto. Un “comportamento inerziale” che ha prodotto centinaia di migliaia di euro di mancate entrate per le casse pubbliche fra “danno emergente e lucro cessante”, come si dice in diritto. Affittopoli arriva a dama. Almeno per quanto riguarda il file degli immobili non residenziali. Principale responsabile della loro disastrosa gestione, secondo la corte dei conti del Lazio, è stata la Romeo Gestioni dell’imprenditore Alfredo Romeo, l’uomo al centro dell’inchiesta Consip, che dal 2005 al 2014 ha amministrato con “pieni poteri” il patrimonio pubblico capitolino, secondo la procura generale conferitale dall’allora sindaco Walter Veltroni.
Il tribunale contabile ha emesso la sua sentenza mercoledì mattina, condannando la Romeo Gestioni al risarcimento di circa un terzo dei mancati introiti calcolati (1 milione sui 3 milioni circa), insieme all’ex assessore al Patrimonio della Giunta Alemanno, Alfredo Antoniozzi, che invece dovrà restituire al Campidoglio ben 80mila euro. Assolti invece i dirigenti capitolini che via via si sono succeduti, fra i quali Lucia Funari, Valter Palumbo e Luisa Zambrini, avendo la parte politica (all’epoca rappresentata da Antoniozzi) “concorso a non determinare un chiaro indirizzo politico, che poi potesse essere attuato dalle strutture amministrative, cui non era consentito di ‘autodeterminarsi’ nella scelta di tali indirizzi politici”.
LA SENTENZA E LE RESPONSABILITA’ DELLA ROMEO – Secondo i giudici, “emerge che la responsabilità derivante dal comportamento inerziale della Romeo Gestioni Spa non è solo formale, ma arreca un danno sostanziale alle potenzialità di entrata dell’ente e, quindi, a quelle di spesa con nocumento all’intera comunità”. A ciò si aggiunga, si legge, “che l’inerzia della Romeo Gestioni spa si ripercuote negativamente anche sulla complessiva gestione delle entrate del Comune di Roma, non solo privandolo di effettive disponibilità di cassa, con conseguente possibile maggior ricorso – e con i relativi oneri finanziari – all’anticipazione di cassa da parte del tesoriere comunale, ma anche producendo evidenti criticità nella fase programmatoria di bilancio”. La responsabilità diretta della Romeo – che inizialmente era stata chiamata fuori – si concretizza, secondo i giudici, in seguito al contratto che il Comune di Roma, nel 2005, aveva sottoscritto, assegnandole all’azienda napoletana “pieni poteri” sul patrimonio cittadino, come “censimento beni patrimoniali, censimento utenza, identificazione degli utenti, verifica della legittimità dei titoli di occupazioni, acquisizione documentazione istruttoria e predisposizione dei contratti, gestione delle posizioni senza titolo, calcolo ed aggiornamento dei canoni, acquisizione elementi reddituali dei nuclei familiari, computo oneri accessori, gestione rapporti di utenza, gestione morosità, gestione contenzioso giudiziale e stragiudiziale, gestione tecnica, manutenzione ordinaria e straordinaria”.
LE INCHIESTE DEL 2014 E LA “SVOLTA” DEL 2017 – L’indagine della corte dei conti, iniziata nel 2014, era stata avviata dall’allora procuratore generale del Lazio, Raffaele De Dominicis a seguito di un’inchiesta giornalistica avviata dal quotidiano romano Il Tempo. Il cosiddetto scandalo “Affittopoli” aveva svelato, fra le altre cose, l’esistenza di decine di locali assegnati ad altrettante associazioni dietro le quali si celavano non solo partiti politici, ma anche vere e proprie attività imprenditoriali a scopo di lucro, fra le quali ristoranti, discoteche, club e altri servizi a pagamento perfettamente inserite nelle dinamiche di mercato. Nel calderone, complici la delibera 140/2015 voluta da Ignazio Marino e il giro di vite imposto successivamente dal commissario prefettizio Francesco Paolo Tronca, sono finite anche associazioni meritorie o dallo storico valore sociale, dalla Casa Internazionale delle Donne al Grande Cocomero, passando per la Viva la Vita Onlus che assiste i malati di Sla, onlus in alcuni casi tutt’ora sotto sfratto. Per ogni singolo caso, la procura contabile aveva aperto un’inchiesta separata, mettendo al centro delle indagini soprattutto i dirigenti capitolini. Ma le centinaia di fascicoli, ereditati poi dal pm Guido Patti, a partire dal 2017 avevano iniziato a collezionare archiviazioni su archiviazioni. La svolta arriva nell’aprile del 2017 quando le difese dei dirigenti depositarono il contratto sottoscritto fra l’allora giunta Veltroni e la Romeo Gestioni. “Una nuova notizia di reato”, come sottolineato in dibattimento dallo stesso pm Patti, che in seguito ha unificato i 78 fascicoli, instradando cosi’ l’inchiesta verso la sentenza appena pronunciata. – FONTE
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