L’Africa si prepara al coronavirus : timori e difficoltà
Il coronavirus è riuscito a prostrare un continente come l’Europa, un Paese come l’Italia che ha un sistema sanitario tra i migliori al mondo in termini di qualità delle cure, accessibilità a tutti. Se un virus riesce a fare questo, possiamo solo immaginare cosa potrebbe accadere in un contesto africano dove ci sono sistemi sanitari deboli, fragili in termini di assistenza alle cure, di personale formato, in termini di equipaggiamento, di farmaci a disposizione. La speranza, per quanto ancora non verificata e tutta da dimostrare, è che il virus sia meno virulento a temperature elevate. E’ vero però che un caso si è manifestato ad Addis Abeba che è a 2500 metri di altezza e invece, fortunatamente, non abbiamo casi in Sud Sudan dove le temperature sono molto elevate. Rimane il dato certo che la situazione dei Paesi africani è difficile, per esempio, non sono attrezzati con le terapie intensive, alcune nazioni non hanno rianimazioni. Questo dimostra quanto è grave la debolezza in termini sanitari dei Paesi dell’Africa.
Quali i Paesi più fragili?
R. – Non c’è dubbio che l’Africa sub-sahariana è il cuore del problema sanitario. Ci sono dei Paesi poveri ma non fragilissimi, ad esempio la Tanzania e l’Uganda hanno un sistema di istruzione e sanitario strutturato. In maniera sistematica emergono casi di ebola e si risponde in modo efficace. Ci sono Paesi come il Sud Sudan dove manca proprio il sistema sanitario, manca il personale sanitario, non ci sono ostetriche, non ci sono infermieri. Poi ci sono Paesi poveri ed estremamente fragili come la Repubblica Centrafrica o la Repubblica Democratica del Congo.
Qual è la situazione secondo le testimonianze dei medici che avete in loco?
R. – I medici sono preparati. Noi stiamo predisponendo il materiale di protezione per loro e anche materiale di contenimento del virus quindi mascherine, guanti, camici, gel alcolici. In Etiopia, abbiamo una tenda che serve da camera di isolamento per i pazienti sospetti. I medici che sono lì, come i medici italiani, si dedicano completamente, non guardano gli orari, hanno un approccio attento perché sono consapevoli che se il virus intaccasse sulle fasce più deboli sarebbe davvero un’ecatombe.
Lei prima ha citato le esperienze di Tanzania e Uganda, alcuni analisti africani affermano che, a fronte di strutture fragili, il continente ha sviluppato una capacità di gestire le epidemie rispetto ai Paesi europei. E’ effettivamente così?
R.- E’ verissimo ed è il motivo per il quale il virus ha tardato ad entrare in Africa. Sono fiducioso che si riuscirà, non in tutti i Paesi, a fronteggiare l’emergenza. Il fatto che ci sia stata l’ebola, un virus che ha massacrato i Paesi africani, ha fatto sì che ci sia una preparazione migliore rispetto all’Europa. Faccio un esempio, io sono tornato la settimana scorsa dal Sud Sudan, negli aeroporti dove ho sostato a Juba, ad Addis Abeba, ci sono i termoscanner. Quindi la temperatura viene controllata, se si registra un innalzamento si procede a misurarla ancora una volta, constatata la febbre si viene messi in quarantena. Questo meccanismo, frutto dell’esperienza dell’ebola che ha portato ad acquistare strumenti specifici, ha secondo me rallentato l’ingresso del virus in alcuni Paesi. Penso all’Etiopia che ha voli costanti con la Cina, nonostante tutto questo Addis Abeba ha contenuto bene il virus, dopo di che sappiamo la grande capacità di diffusione del virus e speriamo che si riesca a contenerlo, ma dipende da Paese a Paese e ce ne sono alcuni in Africa che sono molto fragili. – [FONTE]
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