Testimonianza shock a Reggio Calabria. La rivelazione al processo sulla ‘Ndrangheta stragista

10/05/2020 – A poche centinaia di metri, nel cuore di Roma e a pochi passi dall’ambasciata statunitense, negli stessi giorni del gennaio ’94, Cosa Nostra preparava il fallito attentato all’Olimpico, e all’hotel Majestic Forza Italia lavorava al suo battesimo ufficiale. E in quelle sale – rivela oggi un’informativa –   Marcello Dell’Utri era una presenza fissa e lì incontrava “soggetti di chiara provenienza calabrese e siciliana” arrivati “per sostenere il nascente movimento politico”. È questo il quadro, ricostruito dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, che il boss Giuseppe Graviano potrebbe essere presto chiamato a chiarire. Gli atti sono stati depositati al processo di Reggio Calabria che lo vede imputato, insieme al mammasantissima calabrese Rocco Filippone, come mandante degli omicidi dei brigadieri Fava e Garofalo, con cui la ‘ndrangheta ha messo anche la propria firma sulla stagione degli attentati continentali. Ed è di fronte alla Corte d’Assise chiamata a giudicarlo che Madre Natura ha rotto un silenzio che durava da decenni.

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Per mesi ha detto e non detto. Ha raccontato le sue verità e minacciato di rivelarne altre, ha chiamato in causa Silvio Berlusconi come antico (e moroso) socio e taciuto su Marcello Dell’Utri, si è atteggiato a vittima senza mai negare di essere boss. Messaggi forse rivolti più all’esterno che all’aula, mezze parole e accenni all’omicidio di Nino Agostino, alla agenda rossa di Paolo Borsellino, al ministro “che voleva fermare le stragi” e a chi pretendeva che continuassero. Risposte più dettagliate, le ha promesse solo dopo il riascolto delle sue conversazioni in carcere con il camorrista Adinolfi. Ma improvvisamente sembra aver perso tutta la fretta di farlo. I file non si sentono, gli audio non arrivano, l’elenco non è completo, dalla lista manca qualcosa. Graviano ha iniziato a “traccheggiare”, ma non potrà farlo a lungo.

I riscontri alle mezze parole di Graviano
Mentre lui parlava, la procura non ha mai smesso di lavorare, di cercare riscontri alla valanga di parole che ha scaricato in aula e alle circostanze che ha lasciato intendere. E adesso arrivano nuovi. Inclusi quelli che a Graviano e a chi dall’esterno lo ha ascoltato potrebbero fare tutt’altro che piacere. A partire da Berlusconi e dai suoi legali, che si sono affrettati a smentire qualsiasi rapporto fra il padre padrone di Forza Italia e Graviano, non appena il boss ha iniziato a parlarne in dettaglio. Adesso però la conferma arriva anche dal pentito Giovanni Brusca. È lui che due anni fa, chiede di essere sentito dai pm di Palermo, per riferire un “episodio rilevante”, in precedenza considerato “una banalità”.


Era il ’95, racconta, lui  era a Dattilo con Nicola Di Trapani, il superlatitante Matteo Messina Denaro e Vincenzo Sinacori, anche lui oggi pentito. Si discuteva di stragi, “di rapire il figlio di Piero Grasso, che avevamo individuato dove giocava a calcetto”, per poi passare a disquisire di “vestiario e orologi” racconta Brusca. “Messina Denaro – mette a verbale – mi disse che un giorno Giuseppe Graviano, incontrandosi con Silvio Berlusconi, gli ha visto un orologio al polso che valeva 500 milioni”. E lo ha fatto di persona. “Non mi dice che lo ha visto su una rivista”.

Insomma, Berlusconi nega, ma adesso sono (almeno) due contro uno a raccontare come vero quel rapporto con Graviano. Un altro pentito, Toni Calvaruso, si è invece lasciato scappare un riferimento ad “un quadernetto” avuto dal boss Leoluca Bagarella nel ’94 e poi consegnato a Graviano. “C’erano appuntati nomi e cifre e mi disse di non farlo vedere a nessuno perché sarebbe successo un macello. Sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale” dice Calvaruso. Nomi e cifre a cui Madre Natura, che in udienza si è limitato a timidi e non meglio precisati accenni a “imprenditori milanesi” con cui sarebbe stato in affari, potrebbe essere chiamato a dare identità e sostanza.

Crocevia Majestic
Ma quello che potrebbe mettere più in difficoltà Graviano in aula, come Dell’Utri e altri pezzi da novanta di Forza Italia fuori, è la ricostruzione di quei mesi fra il ’93 e il ’94 in cui si preparava la nascita del partito di Silvio Berlusconi al Majestic. Un posto che alla riservatezza dei suoi clienti ci teneva parecchio. Niente registro eventi “se non uno informale di cui non c’è traccia”, niente fatture “perché dopo dieci anni vengono mandate al macero”. Ma su indicazione del procuratore aggiunto Lombardo, il Servizio Centrale Antiterrorismo della Polizia di Stato ha scavato. E se le carte non ci sono o non ci sono più, dipendenti e manager ricordano. Come Nicola Violante, all’epoca presidente del cda della società di famiglia che deteneva l’hotel. “Ci sono state riunioni ristrette preliminari alla formazione del partito politico Forza Italia, a cui ha partecipato anche Silvio Berlusconi” mette a verbale nel febbraio scorso. E a riprova, agli investigatori mostra una foto che ritrae suo padre con l’allora Cavaliere e Gianni Letta all’interno dell’hotel. Non era raro che capitasse, spiega.  In quegli anni – conferma anche la sua manager – c’era un accordo con Fininvest, per cui alla società venivano riservate un certo numero di stanze in cambio di pubblicità.

Di cosa si discutesse nelle riunioni però, nessuno sa dire niente. Si svolgevano in suite o salette riservate. Anche negli ordini di servizio- ricorda uno dei dipendenti – il nome del nascente partito non compariva mai, ma in seguito – “avrebbe associato i nomi dei soggetti letti sugli “ordini di servizio” a persone elette successivamente nelle file di Forza Italia”. Anche il barman dell’epoca ricorda di fronte al “suo” bancone “persone riconducibili al nascente movimento politico Forza Italia. Non so dire chi fossero, ma ricordo di averli ricollegati allo stesso movimento politico in quanto in ogni occasione venivano accolti da Marcello Dell’Utri”.

Calabresi e siciliani in riunione con Dell’Utri
Dello storico braccio destro di Berlusconi si ricordano tutti. Era lui a presiedere incontri e riunioni nelle suite, nella hall o addirittura nel seminterrato. Una di certo è andata avanti fino a tarda notte e nelle cucine la ricordano perché ad ora assai tarda è arrivata la richiesta di un piatto di pasta. Da Dell’Utri, dice il dipendente che lo ha dovuto accontentare “e altri quattro o cinque esponenti politici di cui ricordo, sebbene non con certezza, Gianfranco Fini e Clemente Mastella”. Altri suoi colleghi, ricordano di aver visto in quei mesi in hotel anche Vittorio Sgarbi e Giancarlo Galan, l’ex ministro e presidente della Regione Veneto travolto dallo scandalo Mose. E poi, anche misteriosi personaggi a cui nessuno sa dare un nome ma “di chiara provenienza calabrese e siciliana” subito individuata perché “parlavano con marcato accento dialettale da me conosciuto per le mie origini calabresi”. Si riunivano “ai tavoli del bar o nelle salette attigue” con l’intento di “sostenere il nascente movimento politico”.

Una traccia da esplorare per la Mobile, che ha iniziato gli approfondimenti quando l’emergenza Covid è iniziata e li ha dovuti interrompere causa lockdown. Ma ha ancora una lista di nomi da spuntare e di persone da sentire. Anche perché, come emerso in altri procedimenti, al bar Doney, che dal Majestic dista solo pochi passi,  il 21 gennaio il pentito Gaspare Spatuzza avrebbe incontrato Graviano “felice come se avesse vinto al Superenalotto, una Lotteria” e fatto il nome di Dell’Utri e Berlusconi, “che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani. E per Paese intendo l’Italia”. Però serviva ancora “un colpetto” e bisognava fare in fretta “perché i calabresi già si sono mossi”. In quei mesi a Reggio Calabria, due brigadieri sono stati uccisi e altri quattro feriti in tre diversi attentati, che per la magistratura sono la prova della partecipazione della ‘ndrangheta alla strategia stragista. E negli stessi giorni di gennaio, Marcello Dell’Utri era al Majestic. E chissà che non lo fosse anche Berlusconi. Particolari che adesso Giuseppe Graviano potrebbe essere chiamato a chiarire. – [Repubblica.it]
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