
02/09/2019 – L’ex-Presidente del Sudan Omar al-Bashir è stato formalmente incriminato per corruzione e per possesso illecito di valuta straniera. Interrogato in tribunale, Bashir ha ammesso di aver ricevuto 25 milioni di dollari dal principe saudita Mohammed bin Salman, più altre somme da altre fonti, ma ha aggiunto di non aver usato quel denaro per beneficio personale. Bashir dovrà anche rispondere delle accuse di repressione violenta dei manifestanti, oltre a essere ricercato dalla Corte penale internazionale per i crimini commessi nel Darfur.
Le autorità “hanno sequestrato 6,9 milioni di euro, 351.770 dollari e 5,7 milioni di sterline sudanesi nella sua casa”, ha dichiarato il giudice Al-Sadiq Abdelrahman. Bashir è detenuto dal giorno della sua destituzione ed è apparso in tribunale già due volte, occasioni in cui ha ammesso di aver preso 90 milioni di dollari dai sauditi, per giustificare i soldi trovati nella sua abitazione dopo l’arresto. In particolare oggi ha confessato di averne ricevuti 25 milioni dal principe saudita Mohammed bin Salman, specificando che non li ha mai usati per scopi personali.
Bashir era stato deposto e arrestato lo scorso aprile e la guida del Paese era passata nelle mani dell’esercito. A quel punto si era aperta una nuova fase di crisi – con ulteriori scontri e decine di morti – che ha visto contrapporsi i civili, che chiedevano una svolta democratica, e i militari, riluttanti a cedere o a condividere il potere. Dopo mesi di proteste e negoziati, le due parti hanno infine raggiunto un accordo, formalizzato il 17 agosto, che prevede la formazione di un Consiglio – composto sia da militari che da civili – che governerà il Sudan per tre anni, fino a nuove elezioni.
Gli esperti invitano però a contenere gli entusiasmi, perché la pace e la transizione democratica non sono obiettivi facile da realizzare: il Paese è appena uscito da un regime autoritario durato trent’anni, il controllo militare sulla società è ancora molto esteso e la situazione economica è critica. Bisogna considerare inoltre l’ingerenza esterna dell’Arabia Saudita, che ha cercato di inserirsi negli sviluppi politici immediatamente successivi al rovesciamento di Bashir con l’obiettivo di garantirsi l’amicizia del nuovo regime, in funzione anti-Iran. – [FONTE]
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