Maxi truffa allo Stato con le rinnovabili, la procura di Pavia sequestra 143 milioni di euro

27/01/2021 – Dietro la maxi truffa di 143 milioni di euro con la centrale a biomasse Biolevano in Lomellina ci sarebbe Pier Pietro Franco Tali, ex amministratore delegato di Saipem. È lui, per gli investigatori, l’ “amministratore di fatto” della società, e “il deus ex machina della vicenda”. Pur non avendo attualmente “alcun rapporto formale” né rivestendo “alcun formale incarico societario”, Tali è considerato dagli investigatori “il maggior azionista occulto di Biolevano”.

Così viene definito nelle 120 pagine di ordinanza che questa mattina hanno portato all’arresto ai domiciliari di sei persone (tra cui lo stesso Tali) e a cinque obblighi di firma. Oltre che al sequestro di 143 milioni di euro (oltre un centinaio sono già stati trovati dalla Guardia di finanza di Pavia e dai carabinieri della sezione di pg, tra rapporti bancari, quote societarie, mezzi, terreni e ville a Milano, Lecco e a Portobello di Gallura in Sardegna, oltre all’intera centrale che vale 70 milioni di euro).

Per il pm Paolo Mazza, e l’aggiunto Mario Venditti, che accusano gli indagati di associazione a delinquere, truffa aggravata ai danni dello Stato e false fatturazioni, il meccanismo dell’organizzazione era basato su una falsa documentazione che attestava come gli scarti di legno usati per alimentare la centrale e produrre energia provenissero da una filiera “breve” (entro 70 chilometri dall’impianto), che consentiva ai vertici della società di ottenere il massimo dell’incentivo. In realtà, il materiale proveniva da altre regioni (Trentino – Alto Adige, Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Sardegna, Lazio) e dall’estero.

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Tutto nasce quando, nel 2011, per aderire al protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici e per rispettare gli impegni assunti dall’Italia a livello internazionale per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, sono stati introdotti specifici incentivi economici per l’uso di energia da fonti rinnovabili, tra cui, le biomasse legnose. La legge, però, subordina l’ottenimento degli incentivi all’utilizzo di legname “proveniente da un razionale e corretto sfruttamento dei boschi che assicuri di preservare il loro naturale ciclo vitale” e impone rigide regole sulla provenienza e la tracciabilità delle biomasse bruciate. Cosa che nella centrale pavese, per l’accusa, non veniva assolutamente rispettata, anzi.

Per capire le dimensioni della vicenda basti pensare che, secondo la ricostruzione accusatoria, per ogni milione di euro di energia venduta Biolevano arrivava a percepire dal Gestore dei servizi elettrici (Gse) oltre 3 milioni di euro di contributi (il massimo degli incentivi possibili), grazie all’accordo siglato nel 2012 con il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali con cui la società si era impegnata a utilizzare esclusivamente legname tracciato, certificato e proveniente da zone limitrofe all’impianto, distanti al massimo 70 chilometri. Invece, attraverso una fitta rete di complici, e usando bolle e documenti falsi, il legname veniva acquistato ovunque, in Italia e all’estero, ma sempre al minor prezzo possibile. – [FONTE]
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