02/08/2017 – È stato per 27 anni in Polizia. Dal 2011 si è occupato in prima persona dell’emergenza immigrazione e ora Daniele Contucci, 46 anni, è in convalescenza in un ospedale militare “a causa dello stato ansioso depressivo che si è innescato in questi mesi di calvario”. Il motivo, spiega l’agente, è semplice: ha denunciato cosa non funziona nella gestione dei migranti e ha fatto accuse precise su chi ci guadagna e specula. Un poliziotto scomodo, insomma. Ora, finito ai margini, ha deciso di raccontare tutto nel libro Dalla passione alla rabbia (Ed. Il Seme Bianco).
“Nel 2010 – spiega in un’intervista al Giornale – sono stato trasferito in una Task Force altamente specializzata in materia di immigrazione denominata Unità Rapida Intervento (Uri)”. Qui verifica la fallimentare gestione del fenomeno, dal rischio di malattie infettive alla palude burocratica del Cara di Mineo, del riconoscimento dei migranti, di pratiche per il diritto d’asilo lunghe fino a 18 mesi. Contucci ha iniziato a denunciare tutto pubblicamente e da allora, accusa, “la Uri è stata prima demansionata e poi chiusa. Le mie denunce davano così fastidio che sono stato parcheggiato in ufficio ad inserire nominativi in una banca dati, postazione dove era praticamente impossibile riscontrare anomalie”. Ritorsioni, afferma, “al limite del mobbing”.
L’immigrazione è una sorta di mangiatoia. “Ogni richiedente asilo ha un costo al giorno per lo Stato di 35 euro, il Cara di Mineo durante il periodo in cui lavoravo ne ospitava quasi 4.000, provate a moltiplicare questa cifra per un anno e troverete la risposta”. Ci guadagna la mafia, ma al fenomeno “collaborano” in tanti. Dito puntato contro le Ong: “Parallelamente alle operazioni di soccorso ufficiali, ci sono altri salvataggi. Le organizzazioni di volontariato si spingono fino alle coste libiche incentivando così le partenze e alimentando le organizzazioni criminali. Questo non è umanitarismo ma speculazione”.
La polizia italiana lavora in un contesto senza regole né protezione. “Nel giugno 2014 ho partecipato ad uno sbarco al Porto di Augusta. Sono arrivate 1.200 persone di cui 66 avevano la scabbia e varie unità con tubercolosi conclamata e noi agenti non avevamo i dispositivi di protezione individuale previsti dal Ministero dell’Interno e della Salute. Temevo d’essermi ammalato e, per precauzione, non ho visto mio figlio per 45 giorni”. Ha continuato a lavorare, conclude amaro Contucci, “per senso del dovere, si trattava di una situazione emergenziale”. E ora è stato “abbandonato da tutti. Non solo dalla Polizia di Stato ma anche dal sindacato e dalla politica. Inizialmente, un partito di cui preferisco non fare il nome mi aveva supportato dandomi spazio e voce poi anche lì è arrivata la censura. Mi sono sentito sfruttato, letteralmente usato. E infine messo all’angolo”. – FONTE
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