Retribuzioni più alte per artisti e giornalisti vip, una legge salva le star: il governo apre alla Rai sul tetto di 240 mila euro

24/03/2017 – – In Italia c’è sempre una vecchia norma, non abrogata in modo esplicito, che può risolvere situazioni difficili, ingarbugliate. E una regola salva-tutti viene pescata stavolta nella Finanziaria per il 2008. Questa vecchia manovra, in linea teorica, può autorizzare la Rai a pagare i suoi artisti anche oltre il tetto dei 240 mila euro lordi annui. L’antica norma, subito ribattezzata salva-presentatore, aiuterebbe dunque ad aggirare il limite ai compensi per dipendenti, collaboratori e consulenti della televisione di Stato. Questo limite di 240 mila euro introdotto dalla nuova legge sull’editoria sei mesi fa – è stato esteso agli artisti, ai presentatori e ai giornalisti di grido (Annunziata, Vespa) dai consiglieri di amministrazione della Rai, a febbraio 2017.

Il governo, dunque, sta rileggendo la Finanziaria per il 2008. È la legge 244 di dicembre 2007. Articolo 3, comma 44. Questa norma interviene sul “trattamento economico” delle persone che lavorano per lo Stato, in particolare “per società a totale o a prevalente partecipazione pubblica “. Parliamo di società “non quotate “, parliamo di “rapporti di lavoro dipendente o autonomo”.

Già nel 2007 il Parlamento decise un massimale alle retribuzioni. Nessuna persona poteva incassare dallo Stato un compenso superiore allo stipendio del magistrato dal grado più alto, “il primo presidente della Corte di Cassazione”. Ma questo tetto – e veniamo alla questione chiave non si applicava a chi offriva una “prestazione artistica o professionale che consenta di competere sul mercato in condizioni di effettiva concorrenza”. Questo specifico passaggio non è stato abrogato, è tuttora in vigore e sembra fatto su misura per permettere al servizio pubblico televisivo di gareggiare ad armi pari con le emittenti private. Ieri Mediaset; oggi anche la7, Sky o Discovery.

È davvero questa la scialuppa salva- Rai? Ne sono convinti i legali di Bruno Vespa che hanno segnalato l’esistenza della norma ad alcune figure di vertice di Viale Mazzini. I tecnici del governo sono più prudenti. Una regola del 2007-2008, anche se non è stata abrogata, viene comunque superata da una legge recente che è intervenuta sulla stessa identica materia. In altre parole, la legge sull’editoria di sei mesi fa, di ottobre 2016, avrebbe il sopravvento sulle norme di nove anni prima. Proprio per questo Palazzo Chigi, l’Economia e lo Sviluppo Economico lavorano per costruire un appiglio giuridico più solido a un’azione salva Rai. Sul tavolo c’è dunque una iniziativa legislativa nuova che richiamerebbe – questo sì – le regole della Finanziaria per il 2008.

Certamente Viale Mazzini non farà alcuna retromarcia. Antonio Campo Dall’Orto ricorda che la delibera dei consiglieri di amministrazione, votata questo febbraio, entrerà in vigore ad aprile senza esitazioni. Il servizio pubblico tv riconoscerà agli artisti ed ai giornalisti di grido compensi superiori ai 240 mila euro “solo in presenza di un esplicito segnale esterno”, precisa l’ad della Rai. Un segnale del governo che ora si fa probabile e che passa (anche) da una norma di nove anni fa.



Alfano: “Campo Dall’Orto si dimetta” – Su Campo Dall’Orto piove intanto una nuova tegola direttamente da fronti del governo. Il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, ha chiesto oggi le dimissioni del direttore generale della Rai, imputandogli una gestione fallimentare dell’azienda televisiva di stato: “A questa Rai manca una visione – ha detto Alfano rispondendo a una domanda durante la conferenza stampa di Ap sul tema dei voucher – . Nell’ambito di tante scelte che Renzi ha fatto, quella che è riuscita peggio è quella del direttore generale della Rai. Farebbe prima a dimettersi lui che a chiudere trasmissioni. E’ una gestione che ha fallito tutti gli obiettivi alla base delle indicazioni, è una gestione del tutto fallimentare di cui il diretto interessato dovrebbe prendere atto. Ma mi sembra che abbia la testa dura. Il mio è un giudizio positivo, da contribuente che paga per vedere scene che non sono da servizio pubblico”. – fonte