PERCHÉ NON SI PARLA PIU DEL REDDITO DI CITTADINANZA?
09/11/2019 – L’intensita’ della poverta’ nelle regioni del Mezzogiorno si e’ ridotta nel 2018 grazie al reddito d’inclusione ed e’ attesa scendere ulteriormente nel 2019 per gli effetti del reddito di cittadinanza. E’ quanto si legge nel rapporto di Banca di Italia sulle Economie regionali presentato oggi a Milano. “Nel 2018 nel Mezzogiorno si e’ registrata una contrazione dell’intensita’ della poverta’, ossia della distanza tra la spesa delle famiglie in difficolta’ e l’importo necessario per acquistare i beni ritenuti indispensabili”, si legge nel rapporto. “L’incidenza della poverta’ non e’ cambiata, cioe’ il numero delle famiglie sotto la soglia di poverta’”, ha spiegato il capo del Servizio Struttura economica di Banca d’Italia Paolo Sestito “ma la tendenza e’ di una riduzione dell’intensita’ della poverta’”. “Verosimilmente, prosegue il rapporto, vi hanno influito le misure di sostegno al reddito delle famiglie in maggiore difficolta’, operative dal 2018. L’introduzione nel 2019 del Reddito di cittadinanza, nel suo complesso piu’ generoso del Reddito di inclusione in essere nel 2018 dovrebbe ulteriormente rafforzare questa tendenza”. Secondo Sestito, sul 2019 l’effetto dovrebbe avvertirsi maggiormente per via del maggiore numero di famiglie interessate dalle misure di sostegno al reddito e dalle maggiori risorse a esso destinate.
Quando diciamo che Reddito e Pensione di Cittadinanza funzionano sono i dati a parlare per noi: le domande accolte dall’Inps hanno superato il milione e le persone raggiunte sono oltre 2,2 milioni.
Piaccia o no, lo si denigri o lo si condivida – e al di là della talvolta sterile boutade politica – il Reddito di Cittadinanza rappresenta per il nostro Paese una tra le più incisive e rivoluzionarie riforme del Welfare State degli ultimi decenni.
E a mio avviso poco rileva, in questa sede, ribadire il ritornello (seppur vero e sacrosanto) del Paese “Calimero” che l’introduzione del RdC ha finalmente fatto uscire dalla condizione di “diversità” rispetto al resto dell’Europa.
Superfluo, perché si rischierebbe ancora una volta di continuare a discutere del RdC secondo una logica da derby calcistico tra il partito dei “sì” e quello dei “no”.
Come il calcio, infatti, anche il RdC tende a spaccare in due l’opinione pubblica: da una parte i “supporter”, per cui si tratta di una riforma centrale perché restituisce dignità alle persone, perché è la manovra anti-povertà più stravolgente che abbiamo avuto negli ultimi 20 anni, perché favorirà la formazione e l’inserimento nel mondo del lavoro, e così via. Dall’altra parte, gli ostinati sostenitori del “no”, i quali riducono la manovra a strumento che induce alla pigrizia, istiga alla furbizia, mette a nudo il lato più oscuro dell’“italianità”.
Ma, ahi loro!, quanto alle furbizie ci ha pensato già la Legge 26/2019, quando ha posto vincoli che permettono al furbetto di non farla franca.
Nell’ultimo anno, tuttavia, a tanto “vociare” – e io stesso sono testimone di ciò, perché non c’è stata trasmissione televisiva cui sono intervenuto che non abbia registrato un perfetto clima da “Processo del Lunedì” – non è tuttavia corrisposta quella dose di “silenzio” necessaria per ascoltare il “non rumore” che ha caratterizzato il RdC dopo la sua introduzione.
Eravamo infatti abituati a un RdC “rumoroso” per definizione: un reddito che è stato invocato nelle piazze, acclamato a furor di popolo (e di urne), accolto quasi con incredulità quando esso è diventato, e in tempi record per la politica italiana, legge dello Stato. Al contrario, dopo la sua introduzione il RdC sembrerebbe essere apparentemente passato dalla dimensione del suono a quella del silenzio, tanto più difficile da spiegare perché, come dicevo in apertura, siamo di fronte alla più incisiva riforma del nostro Welfare State. Una vera e propria “rivoluzione culturale” per il nostro Paese, come l’ho più volte definita in numerosi confronti televisivi.
Perché dunque il RdC non sta più facendo rumore?
Perché politici e media hanno smesso di parlarne? Non direi, visto che non c’è settimana in cui questo tema non sia al centro dell’agenda. Perché i numeri hanno disatteso le attese? Anche in questo caso, la risposta non può che essere negativa, visto che i dati dell’Osservatorio statistico dell’Inps parlano, ad oggi, di 982mila nuclei familiari beneficiari del RdC, ossia – si badi bene – circa 2.200.000 persone coinvolte. Eppure, eppure… sembra far più rumore l’esercito delle Partite Iva, dei pensionati, degli 80 euro e non il milione di famiglie finora coinvolte dal Reddito di Cittadinanza.
Perché, dunque? A mio avviso c’è un aspetto che fin qui non è stato mai considerato quando si parla di RdC, e che rappresenta invece il punto centrale della questione, ovvero chi sono i beneficiari del reddito. Ora, non c’è dubbio che essi siano quelle persone che si trovano in condizioni di estrema necessità, e per le quali il RdC rappresenta non soltanto un supporto di carattere economico, ma anche – e forse soprattutto – uno strumento in grado di riappropriarsi della propria dignità. Ma proprio questo è il punto: il vero bisognoso, il padre di famiglia che non riesce a prendersi cura della propria famiglia, il giovane costretto a vivere dell’aiuto dei propri genitori (quando possibile), l’esodato che non si sente più lavoratore ma che non è ancora pensionato, chi ha perso la casa e si trova costretto a vivere in macchina… insomma, quelli che purtroppo siamo soliti semplicisticamente definire come “gli ultimi”… ebbene, queste persone vivono per definizione (e al di là del fatto che si tratti di una scelta o di una necessità) una condizione di assordante silenzio, dettato dal pudore, dalla dignità, dalla vergogna, dalla paura.
Chi ha realmente bisogno, dunque, non urla né piange e, allo stesso modo, non plaude a voce alta né festeggia. Non lo fa personalmente, e non ha sindacati o categorie di rappresentanza che lo fanno al suo posto. Chi vive nell’agio vive come un vanto il fatto di consegnare la propria carta di credito per pagare il conto del ristorante.
Chi vive invece nel bisogno, il percettore del RdC, custodisce nel segreto delle proprie mani quella carta gialla che, con tanta sensibilità, il Movimento 5 Stelle ha imposto fosse visivamente non distinguibile da un normale BancoPosta. Il silenzio, dunque, è la cifra distintiva del beneficiario del RdC, che tutti noi dobbiamo impegnarci affinché non venga raccontato come una condizione di sconfitta sociale, bensì come una opportunità di rilancio sociale.
Attenzione, dunque, a interpretare questo silenzio come un’assenza di parole. A essere venuto meno è infatti, forse, quel rumore che tanto piace ai media, perché molto dice e poco parla.
Ma forse, sarà proprio questa assenza di rumore a consentirci di comprendere appieno la portata della rivoluzione culturale e sociale che il Reddito di Cittadinanza porta con sé.
Ben venga dunque oggi il silenzio, se questa è la condizione per avere voce (voce, si badi bene, non rumore) domani. – [FONTE]
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Poco importa ora se in questo modo viene aggirata del tutto la disposizione con cui nel 1957 il legislatore aveva disposto l’incompatibilità tra le cariche di sindaco (sopra i 20mila abitanti) e di parlamentare. Perché nei successivi 58 anni i partiti hanno fatto spallucce catapultandone a dozzine (oggi, tra le grandi città: Biffoni a Prato, Decaro a Bari e Bitonci a Padova…). Il punto vero è che adesso una legge dello Stato – costituzionale per di più! – li spinge a forza in Senato e li mette tutti sotto l’ombrello delle guarentigie: significa, in soldoni, che un minuto dopo il giuramento sulle loro spalle calerà la coperta dell’immunità parlamentare, pur continuando a deliberare atti e concessioni in veste di sindaci. Fine degli arresti, zero intercettazioni, giammai perquisizioni senza il via libera del Senato.
In altre parole: i sindaci non saranno più sottoposti al controllo di legalità della magistratura, come gli altri cittadini. Che rubino o ricettino materiale pedopornogrfico (è successo a febbraio, a un sindaco del Salernitano) il destino delle loro vite sarà sottratto ai giudici ordinari e appeso al chiodo della Giunta per le autorizzazioni e dell’Aula, dove la ragion politica è riuscita a salvare Azzollini dall’arresto e Calderoli da un processo. Il primo, in fondo, doveva rispondere solo di associazione a delinquere. Il secondo d’aver paragonato un ministro a un gorilla. Non è questione di lana caprina: in ballo ci sono l’architettura istituzionale dello Stato e la classe di amministratori e politici locali più mediocre e corrotta di sempre.
E’ poi vero che il loro mandato terminerà con quello delle amministrazioni locali cui appartengono. E che quindi si dà per acquisita l’elettività indiretta per una sorta di “proprietà transitiva”: i cittadini eleggono i consiglieri regionali, questi a loro volta eleggono i sindaci-senatori. Ma la selezione fatta dai partiti e nelle urne non si è dimostrata un sostituto adeguato ai magistrati, né un antidoto alla corruzione della classe politica. Al punto che per arginare gli “impresentabili” messi in lista si è dovuto ricorrere a una “legge speciale”, la Severino, che ponesse limiti alla candidabilità dei condannati. E gli indagati? Fieramente resistono e in attesa di giudizio… si candidano.
Come il sindaco di Bolzano, per dire. Gigi Spagnolli (Pd) si è candidato per la terza volta rischiando il rinvio a giudizio ad urne aperte. Un domani potrebbe tranquillamente vestire i panni di senatore della Repubblica. Proprio in questi giorni la Procura sta chiudendo l’indagine a suo carico (abuso d’ufficio) in una vicenda di concessioni edilizie sospette, a favor di centro commerciale. Ecco, se passasse la riforma del Senato e fosse scelto in “quota Bolzano”, Spagnolli potrebbe riporre la pratica nel cassetto, congedare i suoi legali e fare “ciao ciao” con la manina ai pm mentre sale sul treno per Roma. Così, grazie alla riforma, per gli amministratori locali inguaiati si accenderà una lucina in fondo al tunnel: quelli che avessero un problema con la giustizia per quel che fanno da sindaci lo risolverà all’istante con le prerogative che hanno come senatori. Un incentivo a delinquere.
La Riforma della Costituzione disegnata dal Governo rischia così di consegnare alla storia il peggior Senato della Repubblica, zeppo di casi umani e giudiziari. Le ragioni affondano nella debolezza dell’impianto della legge che non abolendo il Senato ne tiene in vita un fantoccio sgonfio. Nel passaggio alla Camera sono evaporate in ordine: le “funzioni in via esclusiva” di intrattenere rapporti con la Ue, quella di controllo sui curricula delle authority, le competenze sui temi di bioetica, famiglia, diritti eccetera. Cosa resta? Quasi nulla.
E se il nuovo Senato nulla conta, questo il punto, anche chi lo compone conterà come il due di picche a briscola. Non solo. Essendo la carica sprovvista di obolo – perché la riforma occasione di risparmio vuol sembrare – non c’è neppure l’appeal del guadagno. Per tutte queste ragioni insieme l’investitura sarà percepita da chi la riceve come una vera iattura. E l’unica ragione per dedicarsi al pendolarismo romano, tolte di mezzo le altre, sarà il beneficio dell’immunità. Così, una volta capita l’antifona, sul treno per Roma si farà fatica a trovare posto. FONTE
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