Bel pezzo di Merlo, editoriale di Marco Travaglio del 03/06/2018

03/06/2018 – Ciascuno di noi ha dei punti di riferimento per orientarsi nei momenti d’incertezza. Chi consulta l’oroscopo, chi lo psicanalista, chi il padre spirituale, chi le linee della mano, chi i fondi del caffè.

Noi abbiamo Francesco Merlo, noto fustigatore di costumi altrui. Merlo svolge, nel giornalismo, la preziosa funzione che incarna Fassino nella politica: quella di bussola alla rovescia. Ogni suo auspicio viene regolarmente disatteso. Se gli piace un governo, potete star certi che sarà un disastro. Se viceversa un governo non gli piace, cosa che finora non gli era mai capitata, ci sono concrete speranze che combini qualcosa di buono.

Come quei critici cinematografici che, quando stroncano un film, sapete già di dover correre a vederlo, mentre conviene tenersi a debita distanza da quelli che esaltano (di solito coreani, lituani o malgasci sottotitolati in swahili).

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Quando nacque il governo Renzi, che aveva il pregio di venire dopo Letta, Monti e B., almeno il primo giorno eravamo ingenuamente speranzosi: infatti scrivemmo che aveva pure del buono, ma l’avremmo giudicato dai fatti. Poi però leggemmo Merlo su Repubblica il giorno dell’insediamento, e capimmo che sarebbe stata una catastrofe. Merlo non solo ne parlava bene, ma ne era estasiato, rapito, arrapato.

Un po’ come ai tempi di B., quando passava il tempo a sgridare chi criticava B.. O come all’avvento di Monti, che gli provocò un notevole consumo di lingua: “Con l’inedito ‘chiamatemi agenda’, che è il tempo del dovere, Mario Monti diventa il gerundio d’Italia. E con il suo ‘ci sono e non ci sono’ aggiorna pure l’ossimoro, che… qui si presenta, nientemeno, con la veste sobria e rigorosa della virtù… Monti è l’insicuro sicuro di sé che sale in campo per scendere in campo… La frase di Monti che ieri ha conquistato di più – sorrisi al posto degli applausi – perché rivela l’efficienza e la disciplina del servitore dello Stato… L’incontro con i giornalisti è stato magnifico, ordinato e appassionato… La risposta più appuntita, la più dolcemente contundente, perfetta”.


La stessa lingua si posò poi vellutata su Renzi e la sua corte: “Mogherini, Boschi, Madia, Guidi, Lanzetta e Pinotti sono la dolcezza della gens nova, non affamate ma pronte a perdersi nella politica… rassicuranti e pacificanti custodi dell’irruenza del capo… Ma poiché nella danza non c’è solo chi conduce, ma anche chi seduce, Renzi… ha imposto al passo lento di Napolitano il suo peso di libertà a volte baldanzosa e a volte birichina… Di sicuro la sua gioia era genuina… è l’allegria del rilassamento, l’evviva del dopo-partita, la felicità della vittoria”.

Ma non bastava: “Solo grazie alla prudenza di Napolitano che lo ha dosato e sorvegliato, Renzi è rimasto l’attor giovane con il bellissimo torto di prendersi il futuro… Sorridono sia l’uomo della politica sia quello dell’antipolitica, il principe Ippolito e il garibaldino Lando… Il vecchio e il giovane, appaiando la spada che ferisce e separa con la spada che cuce e ripara hanno tenuto a battesimo la nuova classe dirigente”.
“È la sua (di Renzi, ndr) qualità migliore, la più pericolosa, la meno italiana perché l’ambizione esibita è peccato mortale nella patria dei falsi umili… L’ambizione esibita ha difetti vistosi che forse oggi servono all’Italia più dei meriti oscuri… Anche Spadolini fu toscanaccio come lo è Matteo e non toscanuccio come Enrico Letta”.

Queste parole alla bava furono per noi una rivelazione: vuoi vedere che anche Renzi sarà una ciofeca?
Lo fu.

Ora finalmente, dopo una vita passata a slurpare, Merlo ha trovato un governo da vomitare.
E pazienza se, appena nato, non ha ancora fatto niente.
Lui anche stavolta ha già capito tutto. Al giuramento di Conte & C., al posto della dolcezza della gens nova, pacificante custode dell’irruenza del capo, cioè dell’attor giovane, del garibaldino Lando che nella danza seduce (al secolo Matteo Renzi), il nostro castigamatti s’è trovato di fronte uno spettacolo agghiacciante:
“La sfilata del neonato potere, la nomenklatura populista che l’ha giurata ai più deboli” (notoriamente gli elettori M5S e Lega sono tutti miliardari, mentre il Pd trionfa nelle bidonville dei Parioli).
“Paolo Savona vestito da ‘Piano B.’”. Battutona.

Avendo i neoministri un’età media piuttosto bassa, salvo poche eccezioni, hanno molti famigliari vivi e li hanno invitati alla cerimonia. Non l’avessero mai fatto.
La plebaglia disgusta il conte Merlo, che tuona contro la “folla baudelairiana” dei “parenti dei ministri, mamme e zie dei sans-culottes” che “alla fine applaudono come a una laurea di provincia”
e forse puzzano anche un po’.
Non le dico, baronessa, dove andremo a finire.

Molto irritante anche l’abbigliamento dei ministri giallo-verdi, “che oggi indossano, tutti, abito scuro e cravatta, l’uniforme dell’Ancien Régime”, deludendo chi si aspettava da una parte canotte, mutandoni di lana, pinocchietti, infradito e dall’altra costumi tirolesi, cappucci celtici, fez, uniformi d’orbace, divise da SS, elmi puntuti, scarponi chiodati e molti frustini.

Enzo Moavero Milanesi andava benissimo quando stava con Monti e Letta, ora invece è seccante il suo “doppio cognome aragonese”, che stona col “maoista Di Maio” (il noto Di Maio Tse-Tung da Pomigliano d’Arco), volgarissimo “ex commesso da stadio” ammesso non si sa come al Colle malgrado l’incensuratezza.

Sempre per l’orrore delle nobildonne al circolo del burraco, Merlo segnala la pacchiana e “bionda Barbara Lezzi” (nomen et cognomen omen, ndr) “che in giacca bianca e pantaloni neri sembra Rose Leslie, la domestica di Downton Abbey quando diventa segretaria”.

Voi non ci crederete, duchesse, ma trattasi di una plebea “impiegata di Lecce”, e ho detto tutto.
Editoriale di Marco Travaglio dal FQ del 03/06/2018
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