19/12/2017 – Ieri, come sempre, abbiamo letto su Repubblica con l’attenzione che merita il report di Ilvo Diamanti su un sondaggio Demos-Coop dedicato agli effetti delle fake news sulla quantità sempre maggiore di cittadini che si informano sui social media. A incuriosirci, oltre alla firma di Diamanti, erano i titoli sulla prima pagina di Repubblica (“Fake news sul web: metà degli italiani è stata ingannata”) e sulla seconda (“Fake news, cresce l’allarme. Beffato un italiano su due”). Poi abbiamo letto Diamanti e abbiamo scoperto che la “metà” degli “ingannati” non si riferiva agli “italiani”, ma a quel 63% di loro che dicono di informarsi sul web. Quindi gli “ingannati” o “beffati” sarebbero il 31,5 e non il 50% degli italiani: non “un italiano su due”, ma meno di uno su tre. Poi naturalmente bisogna intendersi su chi siano gli “ingannati” o “beffati”: si tratta di quel 56% (sul 63% degli italiani che si informano in Rete) che dichiara di aver considerato vera almeno una notizia poi rivelatasi falsa nell’ultimo anno. Repubblica affianca al sondaggio un riepilogo dell’“escalation”, anzi dell’“emergenza” fake news coi soliti riferimenti a 5Stelle e Lega (B. e Renzi invece dicono sempre la verità): una falsa frase di Gentiloni (“Italiani, fate sacrifici e non lamentatevi”), due bufale su fratello e sorella della Boldrini; l’ormai celeberrimo fotomontaggio sull’inesistente funerale di Riina con Boldrini&Boschi; la “rivelazione” di Biden sugli interventi di Putin contro il referendum di Renzi e pro M5S&Lega (smentiti dai capi dei servizi segreti italiani al Copasir, anche se Repubblica non se n’è accorta).
Dal che si deduce che le fake news su Internet sarebbero tutte politiche e unidirezionali (contro i partiti di governo e le figure istituzionali, e a favore delle forze anti-sistema), cioè capaci ciascuna di influenzare le elezioni a senso unico. Ma tutti sanno che la stragrande maggioranza delle fake news sul web riguardano temi leggeri o Vip dello star system, citati a proposito o a sproposito per fare più clic (non si contano le volte in cui Fabio Volo è stato fatto morire da questo o quel sito, mentre fortunatamente gode ottima salute), dunque con le elezioni non c’entrano nulla. E quelle politiche sono di tutti i segni e vanno in tutte le direzioni, finendo per elidersi l’una con l’altra con il classico effetto zero. Ma è un vero peccato che la stessa domanda fatta a proposito del web “Le è capitato di considerare vera una notizia poi rivelatasi falsa?” non sia stata rivolta ai ben più numerosi italiani che s’informano in tv (l’80%), né alla minoranza ben più esigua che lo fa sui giornali (17%): ne avremmo viste delle belle.
O forse no, perché le bugie a mezzo tv e stampa hanno gambe molto più lunghe di quelle online. Avete mai sentito un tg smentire una balla raccontata il giorno prima? Noi mai, anche perché i tg, soprattutto Rai e Mediaset, sono lì apposta per sparare panzane funzionali ai partiti o al partito retrostanti. Sui giornali appaiono spesso smentite o rettifiche, ma queste non coprono le campagne di falsificazione orchestrate ad arte dagli house organ di questo o quel partito contro gli avversari del medesimo: gli editori le considerano un fruttuoso investimento in vista di lucrosi affari su altri fronti e mettono in conto i risarcimenti che dovranno sborsare per riparare ai danni fatti dai loro giornali. Sul web, invece, le bugie hanno le gambe cortissime, per l’immediatezza e l’orizzontalità del mezzo. Lo scrive lo stesso Diamanti: “Se circa metà degli italiani” che s’informano sul web “sostiene di essere caduto nella ‘rete’ della fake news, quasi altrettanti riconoscono di averle riconosciute – e demistificate – con lo stesso – e ‘nello’ – stesso mezzo. Cioè, in Rete. Su Internet”. Ma Repubblica si guarda bene dal registrarlo nei titoli. Se riconoscesse che il web contiene in sé sia il veleno sia l’antidoto, tutto l’allarmismo sulle fake news online si rivelerebbe per quello che è: una monumentale, truffaldina bufala. Una fake news sulle fake news. Una fake news al quadrato.
Se, puta caso, Piero Fassino “rivela” a Un giorno da pecora che io sono un fascista perché ero iscritto al Fuan (la gioventù universitaria missina) e i siti riprendono la cosa, io posso subito smentire su Facebook di aver mai avuto a che fare col Fuan e sfidare Fassino a provare il contrario. Quando invece Internet era appena agli albori e tutti i tg, i gr e i giornali – in assoluto monopolio – raccontarono che Andreotti era stato assolto nel processo per mafia, mentre era stato giudicato colpevole dalla Cassazione di associazione per delinquere con Cosa Nostra fino al 1980, reato “c omme sso” ma prescritto, quasi tutti gli italiani ci credettero e ancora ci credono, a parte i lettori dei pochi giornalisti che avevano letto la sentenza e osato raccontarla. Col risultato che tuttora quasi tutta Italia non sa com’è finito il più importante processo della storia repubblicana, anzi peggio: crede di saperlo, invece sa il contrario della verità. Il 15 giugno scorso, dopo mesi di campagna dei giornaloni su un inesistente “patto di governo” fra M5S e Lega, Repubblica sparò in prima pagina: “Vertice segreto Casaleggio- Salvini”. Casaleggio jr. e Salvini smentirono di essersi mai incontrati o parlati (Salvini disse di aver parlato con Renzi, ma la cosa non destò interesse). Il direttore di Repubblica però confermò tutto in base a “due fonti” che – com’era suo diritto – non rivelò. Casaleggio annunciò querela e lo sfidò – com’era suo diritto – a precisare luogo, giorno e ora del presunto incontro (dettagli che può rivelare anche una fonte coperta), così da poter dimostrare dov’era e che faceva nel mentre. Purtroppo non ebbe risposta. Nell’attesa, possiamo considerare anche quella una fake news? Oppure, essendo uscita su un giornale, la chiamiamo balla e basta? – (pressreader.com) – di Marco Travaglio da Il Fatto Quotidiano
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