“Incita al Jihad e va espulso dall’Italia”: ma i giudici lo mandano ai domiciliari

07/07/2018 – Il processo ha stabilito che istigava a compiere attentati terroristici, con un martellante proselitismo online ed era come minimo «contiguo» all’Isis. Soprattutto: anche dopo il verdetto d’appello i magistrati hanno messo nero su bianco che, una volta espiata la pena, dev’essere espulso dall’Italia. E però nei giorni scorsi la Corte d’appello di Genova ha deciso che l’egiziano Hossameldin Antar, oggi trentasettenne, ex operaio ritenuto componente d’una cellula fondamentalista che agiva perlopiù in Liguria, potrà scontare ciò che gli resta della pena, un anno e mezzo circa, ai domiciliari nella sua abitazione di Cassano d’Adda in provincia di Milano. Sul caso hanno avviato un’indagine i carabineri del Ros, per ottenere l’allontanamento attraverso il ministero dell’Interno, con un provvedimento «per la tutela della sicurezza».

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Per orientarsi nel caso-cortocircuito occorre fissare alcuni paletti. Hantar viene arrestato sul finire del 2016 in un’inchiesta condotta dal pm antiterrorismo di Genova Federico Manotti: è ritenuto parte d’un gruppo di quattro persone che si attiva per permettere agli aspiranti combattenti di raggiungere la Siria e soprattutto fa il lavaggio del cervello online ai (potenziali) islamisti. In primo grado gli danno 5 anni abbondanti per associazione terroristica, l’appello li ridimensiona in tre e otto mesi per «istigazione», ma è ribadito l’obbligo di fargli lasciare l’Italia appena liberato. È detenuto nel supercarcere di Rossano Calabro (insieme a Sassari uno di quelli dove sono trattenuti i filojihadisti fermati in Italia), ma il suo legale Vincenzo Platì ottiene che l’ultimo segmento di pena sia scontata ai domiciliari.


Il caso di Antar rappresenta una parte per il tutto, di cui si comincia a discutere con apprensione alla Procura nazionale antiterrorismo. È vero che figure come lui hanno magnificato il califfato e sono stati condannati per reati inerenti il terrorismo, ma si tratta sempre di «associazioni» o «istigazioni», non di veri e propri attentati e quindi scattano condanne relativamente lievi, in media fra i 3 anni e mezzo e i 5. A stretto giro chiedono benefici o escono in teoria da rimpatriare, ma con possibilità di rientrare in fretta e soprattutto avendo spesso giurato di farla pagare all’Italia. Ecco perché la radicalizzazione in prigione (oltre 500 i detenuti considerati a rischio) e le imminenti uscite sono ritenuti più pericolosi del ritorno di foreign fighter che in Italia tornano di rado. [IlSecoloXIX]
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