Corruzione e concussione, due carabinieri ai domiciliari
13/05/2020 – Due carabinieri del nucleo ispettorato del lavoro operativi a Brescia sono stati arrestati e si trovano ora ai domiciliari su ordinanza di custodia cautelare. Sono accusati di corruzione e concussione. L’indagine, scaturita da una segnalazione presentata alla procura di Brescia, ha consentito di ricostruire episodi corruttivi in occasione di ispezioni in materia di sicurezza sul lavoro. I pubblici ufficiali, a fronte di regalie in natura – che cambiavano in base all’attivita’ imprenditoriale del soggetto da controllare – informavano, preventivamente e indebitamente, gli imprenditori destinatari dei controlli. L’effetto sorpresa veniva, così, del tutto pregiudicato, per evitare violazioni e sanzioni, facendo venire meno eventuali irregolarità in tema di igiene, salute e sicurezza dei lavoratori.
Inoltre, i carabinieri in servizio, addetti ai controlli, erano anche in costante contatto con un collega in pensione che si occupava di consulenza proprio in materia di sicurezza sul lavoro. I destinatari delle verifiche diventavano, dunque, possibili ‘contatti’: il ‘controllato’ si trasformava in un cliente per il consulente. Conoscenze e relazioni triangolari tra controllori, controllati e consulenti rappresentavano, di fatto, un accordo tra pubblici ufficiali e privati, finalizzato, attraverso l’indebito esercizio delle funzioni, a ottenere utilita’. Tra i reati contestati a militari dell’Arma in servizio anche la truffa aggravata ai danni dello Stato, in quanto venivano falsificati i documenti attestanti la spettanza di indennita’ di servizio per ottenere gli emolumenti previsti. Olte ai pubblici ufficiali, ai domiciliari anche il collega in pensione e un imprenditore, accusato di aver ricambiato il preavviso sull’ispezione dando ai controllori indebite utilità. [FONTE]
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CDM approva DL Bonafede per riportare in carcere i detenuti ai domiciliari durante l’emergenza Covid19
10/05/2020 – APPROVATO DL ANTIMAFIA. (A. Bonafede M5S): Nessuno può pensare di approfittare dell’emergenza sanitaria determinata dal Coronavirus per uscire dal carcere. È un insulto alle vittime, ai loro familiari e a tutti i cittadini, che in questo momento stanno anche vivendo le tante difficoltà della pandemia. I magistrati applicano le leggi e come sempre io rispetto la loro autonomia e indipendenza. Da stasera c’è una nuova norma che mette ordine alla situazione. In un momento così straordinario si stava andando avanti con vecchi strumenti. Ma in momenti straordinari, servono provvedimenti straordinari. La settimana scorsa abbiamo approvato un decreto che rende obbligatoria la richiesta del parere della direzione nazionale e delle direzioni distrettuali antimafia e antiterrorismo, prima di assegnare la detenzione domiciliare, e, stando ai dati di questa prima settimana, sta già dando i suoi frutti: abbiamo fermato l’emorragia. Oggi chiudiamo il cerchio.
Il provvedimento, in sintesi, consente ai giudici di rivalutare, alla luce del mutato quadro sanitario, con una diversa situazione a livello di disponibilità di strutture penitenziare e ospedaliere, le concessioni da loro disposte nei confronti dei detenuti a causa della diffusione del Covid-19. Promuoviamo una sinergia, un gioco di squadra, perché saranno chiamati in causa l’autorità sanitaria e il dipartimento amministrazione penitenziaria, affinché diano ai giudici, cui rimane ovviamente l’ultima parola, un quadro sulla disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui il condannato, o chi si trova in custodia cautelare, può riprendere la detenzione, chiaramente senza alcun pregiudizio per le sue condizioni di salute. Con questi due decreti ribadiamo con fermezza quanto lo Stato sia impegnato nella lotta alla mafia. Un impegno che continuiamo a portare avanti, in onore della memoria di chi su questo terreno ha perso la vita e i propri affetti, nonché per il futuro dei nostri figli. La mafia mina le fondamenta della democrazia del nostro Paese e dobbiamo mettercela tutta affinché la giustizia faccia sempre il suo corso, fino all’ultimo.
Sfiducia dalle opposizioni (P.Taverna m5s)
Il centrodestra che prova a sfiduciare il Ministro Alfonso Bonafede, dopo la pandemia, è la cosa più assurda che potesse accadere in Italia. Forse non sanno che a scarcerare i detenuti sono i giudici, non il Governo, non la politica, non un ministro e non un sottosegretario. I magistrati applicano la legge ed operano in totale autonomia e indipendenza come sancito dalla nostra Costituzione. O forse lo sanno e fanno gli gnorri (che è peggio) perché una politica divisa sulla lotta al malaffare è una politica distratta che lascia spazio agli interessi del male. A noi, come Governo e come Parlamento, tocca fare le leggi ed è quello che stiamo facendo.
Oltre allo “Spazzacorrotti” e al potenziamento del contrasto al voto di scambio politico mafioso, la scorsa settimana è stato approvato un decreto che coinvolge le direzioni distrettuali e la procura nazionale antimafia nelle scarcerazioni. Adesso è stato approvato dal Governo un decreto che rivede, alla luce della situazione sanitaria attuale, la possibilità che boss scarcerati in questi mesi facciano ritorno in carcere. A chi continua a gettare fumo negli occhi e ad attaccare senza un motivo reale chi si è sempre battuto a testa alta per l’affermazione dei principi di legalità, a chi ha messo per un attimo in dubbio la forza con cui il Movimento5stelle combatte la mafia e il malaffare rispondiamo con i fatti. Continuiamo così!
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Covid19 e 41 bis: Bonafede, presto decreto legge per riportarli in carcere
06/05/2020 – “E’ in cantiere un decreto legge che permetterà ai giudici, alla luce del nuovo quadro sanitario, di rivalutare l’attuale persistenza dei presupposti per le scarcerazioni dei detenuti di alta sicurezza e al 41 bis”. Così il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede al question time alla Camera, confermando quanto anticipato da fonti ministeriali. Gran parte delle recenti scarcerazioni di boss sono state disposte per gravi patologie, ma molte ordinanze fanno esplicito riferimento all’emergenza da Covid-19. Il ministro ha quindi rivendicato la sua “massima determinazione” nella lotta alla mafia, parole accolte da brusii in Aula.
La questione La gestione di una norma come quella annunciata dal Guardasigilli non è di facile gestione dal punto di vista giudiziario, e non solo perché un dl, affinché un magistrato non decida autonomamente ‘in periferia’ senza avere pareri della direzione nazionale antimafia, è già stato varato da poco. “Un Pm – osserva per esempio un deputato del Pd – potrebbe già chiedere la revoca di una misura se sono venuti meno i presupposti di quel provvedimento”. Non lo è nemmeno dal punto di vista politico. Perché, al di là del ‘caso Di Matteo’ – sul quale Bonafede è intervenuto oggi rispondendo al ‘Question time’ alla Camera (domani, invece, al Senato) – che continua ad agitare il Movimento 5 stelle, l’obiettivo della maggioranza – o perlomeno di Pd-M5s e Leu – è quello di fare da ‘scudo’ al Guardasigilli. “Perché – osserva un ‘big’ della maggioranza – Bonafede non è un membro qualunque, è capo delegazione dei Cinque stelle”. Al responsabile di via Arenula viene imputata, anche all’interno della formazione rosso-gialla, la responsabilità politica della gestione del Dap. “E sul Dap – osserva un’altra fonte – stanno emergendo delle lacune preoccupanti”. Italia viva potrebbe tornare alla carica e ritirare fuori dal cassetto la mozione di sfiducia nei confronti di Bonafede, non per il ‘caso Di Matteo’ (“c’è in gioco la separazione dei poteri”, ha spiegato ieri il capogruppo di Iv Faraone), quanto per l’operato del dicastero sulla politica penitenziaria.
La priorità ora è quella di dare un messaggio forte nella lotta alla mafia
Questa sera si dovrebbe tenere anche una riunione dell’Antimafia per valutare la situazione. Bonafede, al di là del question time, dovrebbe riferire pure in Commissione Giustizia a Montecitorio la prossima settimana. Il centrodestra pronto ad andare all’attacco del ministro difeso a spada tratta dal premier Conte che anche oggi sulla ‘querelle’ tra Bonafede e il magistrato Di Matteo è tornato a bollare come irrealistica l’ipotesi che il ministro abbia subito delle pressioni dei boss per quanto riguarda la nomina al Dap.
Crimi: da Bonafede dl per boss in cella
“Le persone che sono state scarcerate lo sono state su decisione dei magistrati di sorveglianza. Le decisioni vengono prese dai giudici. Quelle leggi che hanno applicato sono leggi precedenti al ministro Bonafede. Oggi il ministro Bonafede ha fatto un decreto legge per impedire che ciò avvenga di nuovo e che un magistrato decida autonomamente senza avere dei pareri della direzione nazionale Antimafia e so che sta lavorando anche a una misura per riportarli in carcere, una volta venute meno le condizioni per l’emergenza” ha detto il capo politico di M5s Vito Crimi a Radio 24.
De Raho: bene aperture Bonafede
“Evidentemente andranno rivalutate tutte quante le posizioni e laddove c’è la possibilità di impugnazione probabilmente il ministro rappresenterà che sono disponibili posti nei centri ospedalieri, ma bisognerà vedere se il magistrato accoglie le istanze che dovrebbero comunque arrivare dalla magistratura. E’ un quadro che il ministro della Giustizia sta approfondendo e laddove ci sono aperture, è un’ottima soluzione individuare spiragli in cui almeno i più pericolosi possano rientrare nel carcere”. Lo ha detto il procuratore Antimafia, Federico Cafiero de Raho, rispondendo a una domanda sulle iniziative del ministro della Giustizia nel corso della conferenza stampa per la presentazione delle iniziative per l’anniversario della strage di Capaci. – [FONTE]
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Dopo 23 anni di carcere Giovanni Brusca, detto “lo scannacristiani”, può finire agli arresti domiciliari
07/10/2019 – Secondo la Procura nazionale antimafia, dopo ventitré anni di carcere Giovanni Brusca può finire di scontare la pena agli arresti domiciliari. E sulla base di questo parere per la prima volta favorevole il killer di Capaci, l’uomo che ordinò di sequestrare e poi uccidere e sciogliere nell’ acido il figlio del pentito Santo Di Matteo, divenuto a sua volta collaboratore di giustizia dopo la cattura nel 1996, prova a ribaltare l’ennesimo rifiuto del tribunale di sorveglianza. S’è rivolto alla Corte di cassazione, e la prima sezione penale si riunirà oggi per decidere sul ricorso presentato dall’ avvocato Antonella Cassandro, che con il collega Manfredo Fiormonti assiste l’ex boss mafioso.
Il legale contesta che nell’ultimo rifiuto del marzo scorso, il nono dal 2002, il tribunale di sorveglianza di Roma non ha tenuto nella giusta considerazione le valutazioni del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, che dopo i precedenti no ha detto sì all’ ipotesi che il pentito sia detenuto a casa.
Assenso motivato dal fatto che «il contributo offerto da Brusca Giovanni nel corso degli anni è stato attentamente vagliato e ripetutamente ritenuto attendibile da diversi organi giurisdizionali, sia sotto il profilo della credibilità soggettiva del collaboratore, sia sotto il profilo della attendibilità oggettiva delle singole dichiarazioni».
E poi perché «sono stati acquisiti elementi rilevanti ai fini del ravvedimento del Brusca»: le sentenze che hanno riconosciuto «la centralità e rilevanza del contributo dichiarativo del collaboratore», e «le relazioni e i pareri sul comportamento di Brusca in ambito carcerario e nel corso della fruizione dei precedenti permessi».
Il mafioso che a Capaci azionò la leva per far esplodere la bomba che uccise Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, ha già usufruito di oltre ottanta permessi premio. Ogni volta esce di prigione per vari giorni e resta libero 11 ore al giorno (la sera deve rientrare a casa), solitamente trascorse con il figlio oggi ventottenne. Dando prova della «affidabilità esterna» certificata dagli operatori del carcere romano di Rebibbia, che aggiungono: «L’interessato non si è mai sottratto ai colloqui e partecipa al dialogo con la psicologa, mostrando la volontà di dimostrare il suo cambiamento».
Ma il tribunale di sorveglianza ha continuato a negare la detenzione domiciliare.
Ritenendo che per un mafioso del suo calibro, dalla «storia criminale unica e senza precedenti», responsabile di «più di cento delitti commessi con le modalità più cruente», che in virtù della collaborazione è stato condannato a 30 anni di prigione anziché all’ ergastolo (che sarebbe stato ostativo a benefici o misure alternative), il «ravvedimento» dev’ essere qualcosa che va oltre «l’ aspetto esteriore della condotta».
Non basta comportarsi bene, insomma; ci vuole «un mutamento profondo e sensibile della personalità del soggetto»; una sorta di «pentimento civile» che vada oltre le dichiarazioni rilasciate davanti ai magistrati. Anche attraverso un «riscatto morale nei riguardi dei familiari delle vittime» che non sarebbe mai avvenuto.
In passato Brusca ha incontrato Rita Borsellino, la sorella di Paolo morta nel 2018, su iniziativa della donna: circostanza che «non dimostra che vi sia stata una richiesta di perdono alla signora né ai discendenti di Paolo Borsellino o ai familiari delle altre vittime dei delitti commessi, e neppure al dottor Pietro Grasso», l’ex magistrato che il pentito voleva far saltare in aria nell’ estate del ’92.
La difesa di Brusca ribatte che l’ex boss mafioso ha più volte chiesto pubblicamente perdono alle vittime, e di poter effettuare attività di volontariato durante i permessi in segno di concreto ravvedimento, ma «non gli è stato concesso per motivi di sicurezza». Di qui il ricorso in Cassazione, contestando la pretesa di «un ravvedimento ad personam modellato sulla figura del Brusca». Che in ogni caso, a 62 anni di età, è ormai arrivato in vista del traguardo del fine pena: calcolando i tre mesi sottratti per ogni anno di detenzione scontato, la scadenza dei trent’ anni dovrebbe arrivare a novembre 2021. – [Giovanni Bianconi – Corriere della sera]
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Talpe Messina Denaro, ai domiciliari ufficiale della Dia
30/07/2019 – Lo scorso 22 luglio era stato annullato l’arresto del carabiniere Giuseppe Barcellona, finito in manette lo scorso 16 aprile assieme all’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino (scarcerato dopo appena 15 giorni dall’arresto) ed il tenente colonnello Marco Alfio Zappalà, in servizio alla Dia di Caltanissetta. Adesso il gip di Palermo, Piergiorgio Morosini, ha annullato la misura cautelare in carcere nei confronti di quest’ultimo che, da sabato, si trova ai domiciliari. I tre sono finiti sotto inchiesta, condotta dalla Dda di Palermo (aggiunto Paolo Guido, sostituti Francesca Dessì e Piero Padova), per “accesso abusivo a un sistema informatico” e “rivelazione di segreti d’ufficio”.
Inoltre all’ex politico Dc viene contestata l’aggravante di aver favorito Cosa Nostra e la latitanza di Matteo Messina Denaro. Secondo l’accusa, Zappalà avrebbe ricevuto da Barcellona alcuni ‘screenshot’ di conversazioni tra due persone coinvolte in una indagine che riguarda la ricerca del latitante Matteo Messina Denaro. A sua volta il tenente colonnello della Dia avrebbe inviato il contenuto di questi ‘screenshot’ a Vaccarino, noto per aver intrattenuto tra il 2006 e il 2007 una corrispondenza con Messina Denaro per conto del Sisde. Infine l’ex politico Dc rivelava il contenuto dell’intercettazione a Vincenzo Santangelo, titolare di un’agenzia funebre già condannato per Mafia. – [AntiMafiaduemila.com]
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Aizza il pitbull contro i poliziotti, l’agente spara e uccide il cane
15/07/2019 – Il pitbull, quando ha visto i poliziotti avvicinarsi al suo padrone per consegnargli la notifica di un provvedimento, li ha aggrediti per strada, mordendo un agente. Altri poliziotti intervenuti sul posto, per difendere il collega, hanno aperto il fuoco, ferendo il cane, che è poi morto nonostante i soccorsi nel centro veterinario. Il fatto è avvenuto in un quartiere popolare di Napoli, in via Cesare Rosaro, durante la notifica di un provvedimento a un uomo agli arresti domiciliari.
Sta facendo il giro del web il video in cui si vede un agente di polizia sparare a un pitbull che aveva aggredito un collega: il cane che è satto prontamente soccorso, è stato portato al centro veterinario del Frullone a Napoli, non ce l’ha fatta.
Questa la dinamica dei fatti: il cane era insorto a difesa del suo proprietario, cui la polizia stava appunto notificando un ordine di arresto. L’uomo, dopo gli spari, ha aggredito un poliziotto con un pugno. Sono stati poi gli stessi agenti a trasportare il cane al pronto soccorso veterinario con l’auto di servizio.
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Usura ed estorsione nel napoletano: quattro arresti a Nola, una donna ai domiiliari
12/06/2019 – I militari del dipendente Gruppo della Guardia di Finanza di Torre Annunziata hanno eseguito un’ordinanza di applicazione di misure cautelari nei confronti di 4 soggetti – residenti nei comuni di Brusciano (NA) e San Vitaliano (NA) – gravemente indiziati dei delitti di usura ed estorsione e già gravati da precedenti penali. Le indagini espletate dalla Compagnia di Casalnuovo di Napoli, che scaturiscono da una denuncia presentata da due coniugi di Brusciano, hanno consentito di accertare che gli indagati, a fronte dei prestiti concessi, richiedevano ed ottenevano, applicando alle somme corrisposte tassi di interesse superiori anche al 340% annuale, non solo la restituzione di denaro contante, ma anche la consegna delle poste-pay relative ai sussidi concessi dall’Inps di cui le vittime erano destinatari per la loro difficile condizione economica.
La situazione è stata ulteriormente aggravata dalle reiterate e gravi minacce rivolte alle persone offese, finalizzate ad ottenere finanche la consegna della nuova carta di reddito di cittadinanza. A fronte del quadro indiziario raccolto e sulla base di apposita richiesta della Procura della Repubblica di Nola, il competente Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale ha emesso specifica ordinanza di applicazione di misura personale cautelare nei confronti degli indagati. Pertanto, i militari della dipendente Compagnia di Casalnuovo di Napoli hanno proceduto a dare esecuzione al suddetto provvedimento.
Sottoponendo agli arresti domiciliari una donna, ritenuta il reale dominus del rapporto usurario e notificando i provvedimenti di divieto di dimora ed obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria nei confronti del marito, della figlia e del genero. L’attività di servizio in argomento testimonia il costante impegno della Procura della Repubblica di Nola e della Guardia di Finanza di Napoli nella repressione delle gravi ed esecrabili condotte criminali riconducibili al reato di usura, che garantiscono agli strozzini l’indebita accumulazione di ingenti proventi illeciti, spesso sfruttando l’irrimediabile stato di bisogno in cui versano taluni soggetti costretti ad indebitarsi.
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Tiziano Renzi e moglie ai domiciliari per bancarotta fraudolenta e false fatture: ‘Programma criminoso in corso da tempo’
18/02/2019 – Tiziano Renzi e la moglie Laura Bovoli, padre e madre dell’ex premier Pd, sono agli arresti domiciliari con l’accusa di bancarotta fraudolenta e false fatturazioni. La notizia è stata confermata dall’agenzia Ansa, dopo l’anticipazione del Corriere della Sera. La misura cautelare è stata applicata nell’ambito dell’inchiesta per il fallimento di tre cooperative. Si tratta di aziende collegate alla società di famiglia “Eventi 6“. Arrestato anche il vicepresidente di una delle cooperative Mariano Massone. L’ordinanza è stata emessa dal gip di Firenze ed eseguita dalla Guardia di Finanza del capoluogo toscano. Secondo il procuratore capo Giuseppe Creazzo c’era rischio di reiterazione del reato e inquinamento delle prove. Sempre stando a quanto riportato dal Corriere e confermato dalle agenzie, sono indagate anche altre 5 persone. Tra queste c’è Roberto Bargilli, che divenne famoso nel 2012 per aver guidato il camper di Renzi durante le primarie 2012.
Secondo quanto emerso dall’indagine, condotta dal procuratore Creazzo, dall’aggiunto Luca Turco e dal pubblico ministero Christine Von Borries, i genitori dell’ex premier avrebbero provocato “dolosamente” il fallimento di tre cooperative dopo averne svuotato le casse ricavando così in maniera illecita svariati milioni di euro. Sono appunto aziende collegate alla “Eventi 6”, la società della famiglia Renzi. Le ipotesi di reato contestate riguardano da un lato l’emissione, tra il 2013 e il 2018, di fatture per operazioni inesistenti all’interno di una delle società e, dall’altro, un’ipotesi di bancarotta fraudolenta che sarebbe stata commessa per le due altre società cooperative tra il 2010 e il 2013.
Nell’ordinanza di custodia cautelare il gip Angela Fantechi parla di “condotte volontarie realizzate non per fronteggiare una contingente crisi di impresa, quanto piuttosto di condotte imprenditoriali finalizzate a massimizzare il proprio profitto personale con ricorso a strategie di impresa che non potevano non contemplare il fallimento delle cooperative“. Tanto che, spiega il giudice, il rischio di reiterazione dei reati da parte degli arrestati “emerge dalla circostanza che i fatti per cui si procede non sono occasionali e si inseriscono in un unico programma criminoso in corso da molto tempo, realizzato in modo professionale con il coinvolgimento di numerosi soggetti, nei cui confronti non è stata avanzata richiesta cautelare, pervicacemente portato avanti anche dopo l’inizio delle indagini”.
Relativamente alle indagini sulle società finite nel mirino degli inquirenti toscani, il gip osserva come “il modus operandi adottato da Tiziano Renzi e Laura Bovoli affinché ‘Eventi6’ potesse avere a disposizione manodopera senza essere gravata di oneri previdenziali ed erariali, è consistito nel costituire e nell’avvalersi delle cooperative ‘Delivery Service’, ‘Europe Service’ e ‘Marmodiv’ poi destinandole – continua sempre il gip – all’abbandono non appena essere raggiungevano uno stato di difficoltà economica, difficoltà economica più che prevedibile in considerazione che sulle stesse gravava l’onere previdenziale, e con riferimento a ‘Marmodiv’ anche l’onere fiscale derivante dall’emissione di fatture per operazioni inesistenti al fine di consentire evasione di imposta a ‘Eventi6′”. Il gip aggiunge che nel caso di ‘Delivery Service’ i genitori di Matteo Renzi e Mariano Massone “hanno ritenuto, fin da poco la costituzione della cooperativa, di omettere sistematicamente il versamento di oneri previdenziali e di imposte”.
A occuparsi per prima del caso era stata la Verità, che da novembre 2017 aveva parlato dell’inchiesta partita da Cuneo sulla chiusura della Delivery Service Italia, avvenuta nel 2015. L’ipotesi degli inquirenti era che fosse stata la Eventi 6 in realtà a gestire la cooperativa e per questo chiesero conto al padre dell’ex premier di una fattura da 130mila euro pagata a Tiziano Renzi da una società riconducibile a Luigi Dagostino, imprenditore a lui vicino. A ottobre 2018 invece, la procura di Cuneo aveva chiesto il rinvio a giudizio per Laura Bovoli: sotto accusa in questo caso i rapporti tra la Eventi 6 e la Direkta di Mirko Provenzano che prima di fallire nel 2014 avrebbe operato come subappaltante di Rignano restituendo una percentuale al committente.
Poco dopo la notizia degli arresti domiciliari per i genitori, Matteo Renzi ha annullato l’impegno pubblico per la presentazione del suo nuovo libro a Nichelino (Torino). In un post su Facebook ha parlato di un provvedimento “assurdo e sproporzionato”. “Se qualcuno pensa che si possa utilizzare la strategia giudiziaria per eliminare un avversario dalla competizione politica sappia che sta sbagliando persona”, ha aggiunto l’ex premier. “Sono cose che in un paese civile non accadrebbero”, lo ha difeso Silvio Berlusconi a Quarta Repubblica su Rete 4. “Credo che” Renzi “umanamente sia molto addolorato e che pensi che se lui non avesse fatto politica questo non sarebbe accaduto”, ha aggiunto il leader di Forza Italia.
“Niente da festeggiare”, commenta il ministro dell’Interno Matteo Salvini. Così come il sottosegretario M5s agli Affari Regionali Stefano Buffagni: “I figli non devono mai pagare le colpe dei padri: Matteo Renzi ha fatto danni per la nostra amata Italia e i cittadini si sono già espressi su di lui. Sui genitori la giustizia farà il suo corso”. Sulla stessa linea anche un altro sottosegretario Cinquestelle, Carlo Sibilia: “Chi pensa che il M5s faccia festa per gli arresti dei genitori di un ex presidente del Consiglio si sbaglia di grosso. E’ sempre triste dover commentare presunte illegalità. Il primo pensiero è sempre per le forze dell’ordine che fanno un gran lavoro per portare a termine indagini così complicate”, ha scritto su Facebook. Bisogna “aspettare che la magistratura faccia il suo corso, noi abbiamo denunciato più volte che c’era qualcosa che non tornava, già quando Renzi era potente”, ha detto Giorgia Meloni ospite di Tg2 Post. “Solidarietà” e “vicinanza” all’ex premier arrivano da Andrea Marcucci, capogruppo del Partito democratico in Senato: “La giustizia farà il suo corso”, scrive su twitter. – [IlFattoQuotidiano.it]
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Desirée, il padre ai domiciliari: «Non sono riuscito a tenerla lontana da quelli come me»
27/10/2018 – «Mi hanno ammazzato la figlia, non ce la faccio a stare chiuso a casa. Dovete farmi uscire». Non riesce a smettere di piangere. Di rabbia. Gianluca Zuncheddu, 36 anni, è il padre di Desirée, la ragazza morta a San Lorenzo. Le grida di dolore risuonano nell’abitazione di Cisterna, nel quartiere San Valentino, a poche decine di metri dalla casa dove la ragazza abitava con la madre e la figlia più piccola. Zuncheddu è un leone in gabbia. Vorrebbe uscire di casa ma non può.
«E’ agli arresti domiciliari» si limita a dire il suo difensore, l’avvocato Oreste Palmieri. Ha confidato: «Fatemi uscire, mia figlia deve avere giustizia».
Ha un passato turbolento Zuncheddu eppure il paradosso è che è agli arresti per aver cercato di aiutare quella figlia che negli ultimi tempi aveva preso una strada sbagliata, tanto da indurre la madre, Barbara Mariottini, a chiedere all’ex di intervenire. Zuncheddu non è un nome qualunque a Cisterna, ha un precedente penale importante alle spalle: è stato arrestato nel 2012 nell’ambito dell’operazione “Bassotti” in cui era considerato uno dei capi dello spaccio di droga a Cisterna e prima ancora qualcuno gli ha sparato per ritorsione. Malgrado i rapporti tra ex siano tesi, la mamma di Desirée lo chiama disperata nonostante sia stato raggiunto da un provvedimento del giudice che sancisce il divieto di avvicinamento alla donna.
È agosto. Barbara Mariottini gli telefona. «Mi ha detto che era preoccupata per Desirée – il racconto del padre – rientrava tardi e aveva frequentazioni sospette». Quello che spaventa la madre però è il ritrovamento di psicofarmaci e droga: non sa più come affrontare la situazione. Chiede al padre di intervenire e lui lo fa. A modo suo. E’ la ragazza a raccontare ai poliziotti quello che è successo. Il padre la trova a Cisterna in compagnia di due stranieri e va per le spicce. Allontana i due a brutto muso e schiaffeggia la figlia. Desirée però ha carattere e decide di andare al commissariato a denunciarlo per maltrattamenti.
LA RABBIA
Un gesto dettato dalla rabbia di una ragazzina che vuole andare per la sua strada che però ha conseguenze: la polizia predispone un’informativa e la invia al magistrato competente per segnalare la violazione del divieto di avvicinamento e a Zuncheddu viene aggravato il provvedimento e imposti gli arresti domiciliari.
Zuncheddu non si dà pace per quella decisione. Anche Barbara Mariottini cerca di aiutarlo, racconta al giudice di essere stata lei a chiamarlo e a chiedergli di aiutare la figlia. Ma neppure quella testimonianza cambia le cose. E così arriviamo a due settimane fa. La situazione sta precipitando. Desirée viene segnalata dai carabinieri per aver ceduto pasticche di psicofarmaci.
Zuncheddu – nessuno lo confermerà mai, ma a Cisterna tutti ne parlano – cerca di proteggere la figlia adolescente anche dai domiciliari. Viene sparsa la voce: nessuno deve venderle dosi. Forse è per questo che la ragazzina comincia a frequentare Roma. «Desirée aveva capito che le stava facendo terra bruciata attorno e da Cisterna fuggiva per procurarsi le dosi» racconta una ragazza che la conosce bene. Fino a quel venerdì sera quando anche a casa Zuncheddu arriva la tragica notizia. Il padre è furioso. Urla in un messaggio vocale – che invia all’avvocato – tutto il suo dolore: «Me l’hanno ammazzata». Ora, chiuso agli arresti domiciliari nella sua casa del quartiere popolare, non può fare altro che a piangere. «Era bella, ingenua, aveva solo 16 anni, l’hanno attirata lì con l’inganno» dice al suo posto il nonno, dalla porta socchiusa. Suo figlio non può vedere e parlare con nessuno, può solo disperarsi. – FONTE
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