Un ‘altra storia di mala Sanità a cui assistiamo impotenti
Paralizzato dopo aria nel cervello
Aveva solo 23 anni Franco Della Porta quando la sua vita è cambiata per sempre. Un calvario giuridico-sanitario che forse solo oggi comincia ad ottenere un barlume di giustizia, con danni comunque irreparabili.
Durante una medicazione gli è stata iniettata aria al cervello, causando un pneumoencefalo.
Una storia lunga 20 anni con conseguenze inimmaginabili: decine di interventi chirurgici alla testa e uno al cuore, una grave emiparesi con il braccio totalmente perso, una parte di teca cranica in titanio, una vistosa conca sulla parte destra del cranio, una zona del cervello coperta solo da pelle e molto altro. ESTRAZIONE MALEDETTA –
«Tutto – racconta Franco – è iniziato nel febbraio del 1993 con l’estrazione di un dente non coperta da antibiotici. Questo mi ha creato una brutta endocardite che mi ha portato a tre interventi in testa. Se il dentista invece che estrarre subito il dente mi avesse fatto una piccola anamnesi avrebbe risparmiato tante sofferenze a me e alla mia famiglia. Ricoverato all’ospedale di Ronciglione fui curato tempestivamente e bene ma quando sembrava che tutto stesse per finire ci fu una complicazione che in realtà si temeva, e fui trasferito al Policlinico Agostino Gemelli. Qui tutto questo fu preso sotto gamba e si limitarono a curarmi con dosi massicce di Tachipirina. Come il dolore si attenuò fui mandato a casa ma il mattino successivo ebbi un attacco di epilessia. Tornato di nuovo al Gemelli dopo due giorni mi fu diagnosticata una emorragia cerebrale e il terzo giorno sono stato operato. Purtroppo non andò tutto liscio, dopo tre giorni i dottori dovettero intervenire nuovamente perché si stava formando un edema ovvero il rigonfiamento della parte operata e ciò rischiava di compromettere l’altra parte del cervello. Per evitare questo mi fu tolta una parte di teca (osso) e messa a custodire nel ventre. Dopo 20 giorni l’osso rimosso fu reinserito. Nel dicembre dello stesso anno sono stato anche operato al cuore. Posso dire che nonostante le sofferenze fin qui sono stato fortunato perché tornai quasi ad avere una vita normale».
ARIA NEL CERVELLO – Sembra tutto finito ma il peggio deve ancora arrivare: «Nel gennaio del 1995 all’ospedale Gemelli mi fu diagnosticata una sospetta osteomielite, cioè un’ infezione all’osso rimosso. Intanto il chirurgo che mi aveva operato, per il quale nutrivo una grande stima, si era trasferito all’ospedale di Terni dove era diventato primario. Così prima di farmi mettere le mani in testa da altri pensai di contattarlo. Mi disse che se volevo potevo ricoverarmi a Terni, avrebbe valutato lui stesso la situazione. Mi ricoverai il primo febbraio. Durante una medicazione mi è stata spruzzata acqua ossigenata sulla ferita con una siringa, all’improvviso sentii una puntura dal dolore indescrivibile, contemporaneamente sentii l’occhio lacrimare, la bocca torcersi verso un lato mentre una strana sensazione mi avvolgeva tutto il corpo.
Come arrivò la barella provai ad alzarmi in piedi, ma caddi. Ero paralizzato! Subito fui portato a fare una tac: venne fuori che con quella medicazione mi avevano fatto entrare aria nel cervello creandomi un pneumoencefalo ed un inizio di emorragia, a seguito di ciò non fu effettuato alcun intervento, anzi durante la notte mi fu somministrata una fiala di Asperig (aspirina) ed una di Orodus, farmaci notoriamente controindicati in un paziente con emorragia in atto. Il medico probabilmente aveva dimenticato il mio stato? O forse non sapeva che detti farmaci in tale patologia avrebbero aggravato lo stato del paziente. Non mi operarono subito, aspettarono peggiorassi al punto che il giorno successivo stavo entrando in coma. Dopo un mese e mezzo di ospedale iniziai la riabilitazione a Trevi dove restai per 6 mesi sulla carrozzina. Soltanto parecchio tempo dopo iniziai a camminare con le mie gambe ma sempre aiutato da un bastone».
SENZA GIUSTIZIA – Poi seguirono altri malori e una decina di interventi. Inizia la battaglia legale nei confronti dei due medici ritenuti responsabili e dell’ospedale. Nei primi due gradi di giudizio Franco non ottiene giustizia. Solo recentemente la Cassazione ha accolto il suo ricorso e si dovrà tornare in appello per un nuovo processo civile. Nella sentenza la Suprema Corte ha riconosciuto alcuni principi fondamentali che hanno ribaltato i precedenti gradi di giudizio in cui si era escluso il nesso di casualità tra la medicazione e le gravi conseguenze subite dal paziente ritenendo improbabile, come riportato sulla cartella clinica, che i sanitari abbiano utilizzato tre sostanze diverse (acqua ossigenata, amuchina e mercurocromo). Nell’appello i giudici avevano accolto la tesi che l’emorragia subita da Franco fosse da ascrivere a precedenti patologie di cui era affetto l’uomo e che la raccolta di aria nel cervello era da attribuire ad altre cause.
La Cassazione accogliendo il ricorso di Franco non solo stabilisce che spetta ai professionisti sanitari dimostrare che le complicanze non siano state dovute a loro responsabilità ma che quanto riportato sulla cartella clinica debba considerarsi effettivamente avvenuto. Il nesso tra la condotta del medico e il danno va quindi presunto e non può bastare a escluderlo la semplice ipotesi che possano esserci stati altri fattori ricollegabili a precedenti patologie del paziente.
A maggio dunque si svolgerà un nuovo processo presso la corte di Appello di Perugia che dovrà tenere conto di questo pronunciamento.
CARTELLA SOSPETTA – La famiglia di Franco si è anche soffermata su altre presunte irregolarità denunciate ai carabinieri di Terni qualche mese fa. La cartella clinica compilata dalla divisione neurologica dell’ospedale di Terni sembra evidenziare alcune anomalie. In particolare ci sono dei fogli con delle correzioni non firmate in cui si cambia completamente il senso delle frasi. Sul diario del giorno 8 febbraio in cui si riporta il referto della Tac eseguita si legge che c’è aria negli spazi subaracnoidei senza aggiungere la presenza di un coagulo ematico. Nel diario del giorno successivo originariamente si parlava invece di “aumento della raccolta emorragica” . La parola “aumento” è stata cancellata a penna.
«La correzione – spiega Carlo, il padre di Franco – cambia il significato, se c’è aumento significa che l’emorragia era già in atto dal giorno prima e quindi che si sarebbe dovuti intervenire per tamponarla. Un altro foglio sembra una fotocopia della fotocopia tramite la quale si è coperto cosa inizialmente era stato scritto sul diario del giorno. Emerge infatti un residuo di una precedente annotazione, inoltre le note sono scritte in parte a macchina e in parte a penna».
Queste e altre anomalie hanno portato la famiglia della Porta a presentare denuncia contro ignoti sospettando che si siano volute occultare in questo modo omissioni e responsabilità del personale sanitario. Tutte le modifiche, le aggiunte, le alterazioni e le cancellazioni integrano infatti il reato di falsità in atto pubblico. Franco non si fermerà fino a quando un tribunale riconoscerà che la sua condizione non sia dipesa da una semplice fatalità ma da precise responsabilità da parte del personale che lo aveva in cura.
Uno dei due medici chiamati a processo è riuscito anche a far carriera diventando primario al San Filippo Neri di Roma